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Intervista: Francesco Bonaldo ci porta sott’acqua con il suo cortometraggio “Antitratta”

bonaldoerecordstudiopremiatiy40Abbiamo incontrato Francesco Bonaldo, regista, direttore della fotografia e direttore creativo padovano che recentemente si è aggiudicato il primo premio all’Y-40 Film Festival, un contest internazionale davvero particolare poiché interamente dedicato agli appassionati del mondo acquatico. Bonaldo è il vincitore della seconda edizione di questo singolare concorso grazie al suo cortometraggio della durata di 5 minuti (di cui il 30% girato sott’acqua) intitolato Riemergere – Antitratta sul tema dello sfruttamento degli esseri umani. Incuriositi e conquistati dall’ottimo lavoro di Bonaldo, gli abbiamo chiesto di scambiare quattro chiacchiere con noi per raccontarci non solo di questo cortometraggio ma anche di cinema, di fotografia, delle difficoltà di girare sott’acqua e molto altro.

Francesco, raccontaci più approfonditamente la trama del tuo corto Antitratta, vincitore dell’Y-40 Film Festival 2024.

Il corto si sviluppa in un ambiente naturale ad un orario notturno; diverse persone appaiono in frame separati, immerse in una vasca da bagno, con volti segnati da una profonda inquietudine.
Il battito cardiaco, in sottofondo, e il VoiceOver che accompagna una serie di primi piani intensi trasmettono subito il messaggio e la sensazione che queste persone vivono: il senso di oppressione che cresce in queste persone è palpabile, latente in ciascuna di loro. Una luce in movimento si staglia sopra gli alberi: tenta di illuminare e guidare i protagonisti verso una via d’uscita da questo buio interiore. Man mano che la narrazione avanza, le vasche da bagno si trasformano in un vasto oceano, simbolo tangibile delle loro angosce, dove i personaggi si ritrovano a sprofondare, schiacciati dal peso della paura e dell’impotenza. Trascinate nelle profondità dell’acqua scura, si lasciano andare inermi, schiacciate dal peso interiore e dalla paura di non riuscire ad uscire da quella grave situazione. Ma, come in ogni dramma, c’è una speranza: il numero verde Antitratta può diventare uno strumento per chi è vittima di queste tipologie di sfruttamento. Le persone infatti riemergono dalle acque grazie alla presenza costante della “luce”, che li conduce verso un ambiente pacifico, quasi surreale. Qui, nella limpidezza della natura, ritrovano una parvenza di serenità. Anche se segnati dal trauma, la possibilità di uscire insieme da quel buio esiste. Riemergere è possibile.

Come è nata l’idea per questo corto?

Volevamo comunicare, condividere e dar valore al progetto “Antitratta” italiano. Qualcosa che non tutti conosciamo. Qualcosa che non tutti vediamo quotidianamente, ma qualcosa che purtroppo da sempre è presente nella nostra società. Volevamo dare una possibilità. Una via di uscita. Il corto è nato su misura per il Dipartimento per le Pari Opportunità. Dopo un brief con il committente e una riflessione interna su come evitare i toni tradizionali (che spesso fanno leva sul pietismo), abbiamo optato per una rappresentazione metaforica dello sfruttamento umano. Era importante trovare un linguaggio artistico che coinvolgesse lo spettatore in profondità. Abbiamo usato una tecnica di storytelling, quindi, un parallelismo metaforico tra la tematica centrale, lo sfruttamento, e l’acqua, un elemento in cui si può sprofondare, ma che può essere anche un forte simbolo di rinascita. Grazie al film festival di Y-40, abbiamo ripensato il progetto integrando riprese subacquee professionali, ottenendo un risultato visivamente più potente e concettualmente più incisivo. E colgo l’occasione per ricordare che il numero verde Antitratta 800 290 290 è attivo tutti i giorni della settimana, 24 ore su 24, su tutto il territorio nazionale, per favorire l’emersione del fenomeno e supportare le vittime di tratta e sfruttamento, offrendo informazioni sulle possibilità di aiuto e assistenza e mettendo in contatto con i servizi socio-assistenziali territoriali. Al numero, istituito dal Dipartimento per le Pari Opportunità, possono rivolgersi anche operatori dei servizi sociali, rappresentanti delle Forze dell’Ordine, cittadini che vogliono segnalare situazioni di sfruttamento. Il servizio è disponibile in più lingue, tra le quali inglese, albanese, russo, francese, spagnolo, rumeno, ungherese, arabo, cinese, nigeriano.

Perché dobbiamo giustamente sottolineare che la questione è tristemente attuale. Hai dichiarato, infatti, che il soggetto del tuo corto è “lo sfruttamento degli esseri umani, quindi sfruttamento sessuale, accattonaggio forzato, tutte le situazioni dove le persone si sentono oppresse, non hanno la libertà e possibilità di reagire e agire”. Questi episodi fanno riflettere sul fatto che la schiavitù non sia stata affatto abolita ma semplicemente ha cambiato forma.

La tratta di esseri umani coinvolge milioni di persone ogni anno. È stata abolita solo la schiavitù formale ma ci sono diverse nuove forme di sfruttamento che imprigionano le persone in una schiavitù invisibile eppure altrettanto reale. Sfruttamento sessuale, lavorativo, accattonaggio forzato, traffico di droga, matrimoni forzati: sono tutte manifestazioni di un problema che non riguarda solo il passato, ma che è vivo oggi, sotto una veste diversa. Le persone non sono più incatenate fisicamente, ma da strutture economiche e sociali che le privano della libertà. Per questo, è cruciale riconoscere che la schiavitù esiste ancora e agire per combatterla in modo più consapevole.

Entrando un attimo in questioni più tecniche, cosa occorre per girare un film subacqueo? E quali sono le principali differenze e difficoltà rispetto alle riprese sulla terra ferma?

Girare sott’acqua comporta sfide tecniche uniche. L’ambiente cambia drasticamente, così come le dinamiche della ripresa: la fisica, la gravità, la luce, le attrezzature, il suono, l’espressione attoriale, la trasmissione del segnale, i colori… tutto si comporta in modo diverso rispetto alla superficie. La gestione dell’attrezzatura subacquea, la comunicazione con il team e il coordinamento degli attori richiedono una pianificazione molto attenta. Inoltre, l’elemento dell’acqua influenza le performance di tutti i performer (temperatura, limiti legati all’apnea e/o alla riserva d’aria in bombola, limiti di fermata di decompressione, limiti di compensazione attoriale ecc): gli attori devono trasmettere emozioni in condizioni estreme; questo richiede preparazione, predisposizione e resistenza. E c’è una quantità molto limitata di attori subacquei per ora… Insomma, è un mondo diverso, tutto da sperimentare per noi. Ma proprio queste difficoltà aggiungono un’intensità unica al risultato finale. bonaldoantitrattaframe350

Quali sono i tuoi principali punti di riferimento, tanto per la regia quanto per la fotografia?

Il cinema per me è una forma d’arte, e ogni film è una tela unica. Non sono legato a un regista o direttore della fotografia in particolare, ma ai capolavori che riescono a suscitare emozioni profonde. Quelle emozioni che senti tue, senti che ti appartengono e ti coinvolgono. Ti appagano. Registi come Fincher, Kubrick e Nolan hanno creato opere che mi hanno fatto entrare in stati di trance per la loro capacità di narrare con potenza visiva, uditiva e sensoriale, anche se non tutte le loro opere mi hanno segnato allo stesso modo. Lo stesso vale per direttori della fotografia come Deakins o Hoytema; ma resto dell’idea che è il singolo progetto per me a lasciare un’impronta. E penso altrettanto dell’arte. Ci sono momenti in cui il loro lavoro è pura poesia visiva, capace di amplificare la narrazione in modi che restano impressi, ma è il singolo film che mi colpisce più del loro nome in sé. Mi piace pensare che ogni film abbia il potenziale per essere un’opera d’arte, ma solo alcuni riescono a diventare qualcosa che ti ricorderai per sempre anche perché la nostra sensibilità, come esseri umani, è formata da un insieme infinito di caratteristiche: le nostre origini, la nostra storia personale, la cultura di appartenenza, le passioni e i legami che ci influenzano. E non è detto che un film che per me è un capolavoro, lo sia anche per altri. È anche questo il bello, no?

Assolutamente. Non ho potuto fare a meno di notare, comunque, che i nomi che hai citato sono tutti stranieri. Il cinema italiano, d’altra parte, ha vissuto i suoi anni di gloria tra il dopoguerra e gli anni 70, quando era in grado di produrre veri capolavori, punto di riferimento per il cinema mondiale, mentre oggi il suo livello raramente è paragonabile alle altre produzioni, in primis quelle americane. Secondo te, però, il nostro cinema può ancora tornare a competere con il grande cinema internazionale, soprattutto con l’industria cinematografica di Hollywood?

Credo sia possibile che il cinema italiano torni a competere con Hollywood. La chiave è mantenere viva la nostra determinazione nel raccontare storie autentiche, ricercando nuove forme e spingendoci oltre i limiti. Il cinema italiano ha una forte identità culturale e, se riuscissimo a perseguire la qualità e l’originalità, potremmo produrre opere che colpiscono a livello internazionale. Avere fame di imparare, di crescere, di voler comunicare, di ascoltare le proprie idee e sogni convertendoli in storie autentiche. Per me, l’importanza principale è dare il massimo nel progetto che si ha sottomano, contaminare positivamente le persone che fanno parte del progetto, rendendole partecipe e mettercela tutta assieme. Se ogni singolo professionista del settore, dai registi ai tecnici, agli attori, continua a farlo con la stessa passione, possiamo davvero fare la differenza. Viviamo in una società sempre più standardizzata e composta, ma conosco una miriade di colleghi e collaboratori che ce la stanno mettendo tutta per emergere, per portare innovazione e cuore in ogni progetto. Il cinema italiano ha ancora quella scintilla creativa, quel bagaglio culturale e artistico unico che può fare la differenza a livello internazionale. La nostra identità, le nostre storie, le nostre passioni hanno un potenziale enorme, e se continuiamo a puntare sulla qualità, sull’originalità e sulla voglia di sperimentare, possiamo creare opere capaci di competere ai massimi livelli.

Dal momento che ti abbiamo conosciuto grazie a un festival, ci tenevo a chiederti quanto secondo te la partecipazione a questi eventi è utile per dare visibilità alle opere, soprattutto a quelle di registi ancora non molto noti, e come vivi questi piccoli grandi momenti di competizione.

La mia attitudine è sempre positiva. Vedo i festival come un’opportunità preziosa per dare visibilità al proprio lavoro, ma soprattutto per confrontarsi con altri talenti. Non vivo la competizione come una sfida contro gli altri, quanto come un’opportunità per migliorare, contaminare e contaminarmi positivamente, oltre a spingermi a dare sempre il massimo. Il confronto con altri registi, DOP e artisti è stimolante e mi aiuta a crescere, perché da ogni opera, da ogni visione diversa, c’è sempre qualcosa da imparare. Siamo tutti spinti dalla stessa fame di trasmettere qualcosa di autentico e di significativo, e questi momenti di incontro e condivisione ci permettono di fare proprio questo. E i festival sono lo spazio per celebrare l’unicità delle opere, delle storie e delle persone che ci mettono il cuore. E questo è fondamentale: non è solo competizione, è uno slancio collettivo per far crescere il cinema.

Per concludere, vogliamo salutarti con una domanda dedicata ai tuoi primi passi in questo mondo artistico: quando hai capito che la fotografia e il cinema erano per te più di una semplice passione?

La mia passione per la fotografia e il cinema è nata fin da piccolo, grazie all’influenza della mia famiglia. In particolare, devo molto ai miei genitori, che mi hanno coccolato con una sensibilità unica, sia umana che stilistica. Hanno sempre messo il cuore nelle cose che hanno fatto nella loro vita, donando e sacrificando il loro tempo e denaro spesso per l’aiuto concreto al prossimo nella misura del possibile con le persone che li circondano. Ricordo anche che mamma filmava spesso momenti di famiglia, e mio fratello maggiore ha da subito seguito la strada del videomaking. In casa c’era sempre una videocamera o una macchina fotografica, e io ne ero affascinato. Durante gli anni di scuola, quando studiavo grafica e comunicazione, ho scoperto l’interesse per l’immagine attraverso la fotografia. Ho iniziato a sperimentare, creare e cercare di comunicare qualcosa di personale attraverso l’arte visiva. A 16 anni ho iniziato ad aiutare mio fratello in alcuni set, lavorando su progetti aziendali e ampliando il suo portfolio. Nel frattempo, un mio professore ha valorizzato il mio talento, aiutandomi e incoraggiandomi ad approfondire il mondo della fotografia e del cinema e prestandomi attrezzature costose dicendomi che era contento di prestarmele perché “dalle mie mani poteva venire fuori qualcosa di grande”, diceva. A 19 anni, la mia passione è diventata concreta: insieme a un ex compagno di classe, abbiamo fondato la nostra azienda, RecordStudio (che all’epoca era costruita come due ditte individuali collaboranti con i seguenti nomi RecordStudio di Francesco Bonaldo e RecordStudio di Andrea Zuliani), mentre lavoravamo part-time come grafici pubblicitari nella scuola dove avevamo studiato. Ma la passione cresceva, tanto da decidere di dedicarci a tempo pieno a questo mondo rinunciando allo stipendio mensile. Questo ci ha permesso di essere più flessibili e versatili nella libertà dell’occupazione del calendario: infatti avere più disponibilità ci ha portato a lavorare come operatori “behind the scenes” in produzioni cinematografiche di film come Finché c’è prosecco c’è speranza, diretto da Antonio Padovani. È stata un’esperienza che ci ha permesso di stare sui set per settimane e di immergerci completamente nel mondo del cinema, dialogare con macchinisti, elettricisti, gaffer, DOP e professionisti. Questa opportunità è nata anche grazie alla vittoria del concorso We Are Video dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove abbiamo lavorato al progetto Dream Your Future (in collaborazione con Hive Division e supervisione dello stesso Antonio Padovani), un cortometraggio sull’empatia e la valorizzazione del patrimonio culturale. In seguito, abbiamo avuto modo di lavorare anche con case di produzione come Hive Division e per progetti come Celebrity Hunted per Amazon Prime Video e portando avanti anche il settore della pubblicità creativa e corporate mantenendo saldi i rapporti lavorativi con altre bellissime realtà con la quale tuttora lavoriamo. Per motivi personali io e il mio socio nel nostro percorso ci siamo separati ma sempre mantenendo il bellissimo rapporto costruito negli anni e nel percorso ho coltivato nuove persone con cui portare avanti il sogno. Oggi siamo in quattro sognatori, circondati da una rete di collaboratori che, prima di tutto, sono amici. Persone pazze come noi, con la voglia di sperimentare, imparare e migliorare. Sono fiero dei risultati raggiunti finora, ma non ci sentiamo “arrivati”, per niente. Anzi, sono convinto che questo sia solo l’inizio, e non vediamo l’ora di dare il massimo.

DORIANA TOZZI

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