1.Chi siete, da dove venite e che musica proponete.
Siamo un gruppo chiamato Black Tail per via dell’amore verso gli animali – cervi, gatti, lupi, non importa – con la coda nera, abitiamo appena a sud di Roma, tra Aprilia e Latina, e cerchiamo di lasciarci incuriosire da un buon numero di cose. La nostra musica è un ritratto abbastanza trasparente e spero senza pretese, della nostra passione per sonorità tranquille e l’attitudine riflessiva di certi generi, o la nostra indole protesa più verso i paesaggi emotivi, le evocazioni boschive, la dimensione defilata. Oltre a questo, le influenze, o meglio, ciò che ci piace da ascoltatori patologici, passano attraverso tante cose diverse, che hanno a che fare con l’alternative e il folk di natura americana, o sonorità più intrise di beatles-ismi. Ecco, sicuramente questi due sono i filtri maggiormente presenti forse nel nostro primo lavoro.
2.Il panorama musicale italiano aveva bisogno di voi?
Nel nostro Paese, esistono una vastità e una tale levatura artistica nel sotterraneo, incredibili. Ci sono band e cantautori straordinari, e io mi sentirei in profondo imbarazzo se dovessi accorgermi di aver smesso di venirne ispirato ed essere diventato quel tipo di persona che ritiene assolutamente imprescindibile il proprio discorso artistico. Registrando le nove tracce del nostro album, non ci siamo minimamente posti il problema di inventare paradigmi o di seguire un qualche hype. Abbiamo, molto umilmente, suonato quello che ci piaceva. Sarò onesto fino in fondo e il più possibile diretto: non mi interessa quell’aspetto. In musica, come nelle altre forme espressive, quello del bisogno è un criterio che ho sempre ritenuto vuoto, se inquadrato fuori dall’esigenza spontanea da parte di chi suona, di comunicare. Cerco di spiegarmi meglio: quello di creare un’urgenza, il senso di imperdibile, è un concetto veramente necessario solo a chi vuole affrontare commercialmente il mercato della musica; in quel senso la necessità di creare fenomeni suggeriti come imprescindibili, diventa funzionale al vendere (per altro quasi episodicamente) dischi ad ambiti allargati o a costruire una qualche immagine di sé imperniata sul raggiungimento della notorietà tramite la quale, ancora una volta, aumentare le vendite. Fa parte anche delle tante cose che raccomandano agli emergenti, ma – a mio modestissimo parere – è anche tanta bella e ben argomentata fuffa, se non hai intenzione di lanciarti in ambiti commerciali. È un mondo talmente lontano e per noi talmente privo di fascino, che non so davvero immaginarmi a studiare strategie di marketing o di immagine, per quanto riguarda la musica, che mi proiettino ai vertici dei canali preferenziali e mainstream. Sedermi a tavolino e iniziare a disegnare quadri semiotici per capire dove si potrebbero aprire opportunità: onestamente, non mi ci vedo. Cerco di fare quello che mi piace, e se suscita un riscontro positivo, a qualsiasi livello, ne sono felice ed onorato. A patto che le regole restino quelle sopra. Quindi, per chiudere e rispondere alla domanda – che a questo punto è “ma allora che ci fate qui?” – la risposta non può che essere, quello che ci fanno sempre tutti gli appartenenti ai circuiti alternativi, che è fornire una chiave di lettura sistemica, diversa. Scollare l’idea di successo dalla frenesia per la fama nel campo dello spettacolo. Non siamo sull’isola di Lost, e se non ci sono i Black Tail a schiacciare il bottone ogni tot, non succede niente. Il mondo va avanti. L’obiettivo non è riempire gli stadi, non è diventare l’idolo delle folle scalmanate che vogliono sapere tutto di te o della tua vita. E meno che mai salvare un panorama che già gode di ottima salute perché dotato di un sottobosco notevole. L’obiettivo è comunicare con le persone, instaurando un tipo di dialogo alla pari: sei sul palco perché hai un bisogno (ma è un bisogno solo tuo) di dire determinate cose, e quelle persone ti ascoltano perché stai parlando di cose che loro comprendono, che appartengono ad una comune estrazione culturale: sei alla pari, non esistono divi, non esistono star. Sei semplicemente uno che sta parlando con le persone, e che da questo, egoisticamente, ottiene un beneficio quasi esclusivamente interiore. È un discorso forse da privilegiati. Possiamo permetterci questa distanza per il fatto che viviamo d’altro.
3.Se voi foste una meta da raggiungere con il “navigatore musicale”, quali coordinate di artisti del passato o del presente dovremmo impostare, come strada da percorrere per arrivare al vostro sound?
Imposterei come destinazione le etichette indipendenti, storiche o meno. Folk, lo fi, weird pop, slack, alternative belga, new acoustic movement, la meravigliosa scena canadese, il folk vecchio e nuovo, la nuova scena alternativa indipendente britannica. Rimpallando il più possibile intorno a quel tipo di suggestioni, con profonda serenità. Magari è un buon modo per andare da qualche parte, cercando – piuttosto – di perdersi.
4.Il brano del vostro repertorio che preferite e perché questa scelta.
Springtime, perché è il brano che incarna esattamente il senso intimo dell’operazione Black Tail. Deriviamo tutti da esperienze in altre band, bellissime, ma esautorate. Avevamo bisogno (vedi, il bisogno alla fine è sempre una cosa proiettata verso il dentro, più che verso il fuori, per tornare alla domanda precedente) di aprire un nuovo capitolo in maniera conciliante, onesto, senza tentare di ingrandirlo, senza renderlo quello che non era. Avevamo in mente un certo ideale volto alla serenità e al considerare dalla giusta distanza, con disincanto le cose, anche quando si presentano come mutevoli, anzi, forse soprattutto nelle transizioni. Immediatezza e spontaneità erano le linee guida suggerite dal nostro modo di sentire, e credo che quel brano in particolare, per la parte musicale e lirica, ne abbia sintetizzato al meglio i contorni.
5.Il disco che vi ha cambiato la vita.
Da questa domanda non ne usciremo facilmente, è bene che lo sappiate. Sembra una domanda semplice ma non lo è. La verità è che, durante la vita, esistono tanti dischi che te la cambiano. Perché noi cambiamo costantemente, e cambiano le esigenze. Posso dire di averne incrociati tantissimi, da Late for the Sky di Jackson Browne a Harvest di Neil Young, passando per Blood on the Tracks di Bob Dylan. Ma posso anche dire di aver passato poi fasi di amore spasmodico verso Revolver dei Beatles o Stripped dei Rolling Stones, che è più recente. Ho speso l’infanzia sui dischi di Otis Redding, trascorso più la maturità che l’adolescenza sui dischi dei Sonic Youth o la scena post punk. L’ultimo grosso sconvolgimento inizia con i Franklin Delano (italiani, per altro) di Like a Smoking Gun in Front of Me, e investe l’arco dei primi 2000 fino al 2007 circa. Aver scoperto etichette microscopiche indipendenti, come la belga Matamore, mi ha aperto dimensioni incredibili. Ancora seguo gruppi come Pokett, Templo Diez, V.O., Girls in Hawaii, ma in particolare, quel modo di fare, mi ha aperto (e paradossalmente non è stato il contrario) a cose più grandi, come i Wilco, i Neutral Milk Hotel, Marissa Nadler, i Pavement, Sparklehorse, Okkervil River, Elliott Smith. O il piccolo capolavoro di Bright Eyes che è I’m Wide Awake it’s Morning. Credo che in quel periodo siano usciti i dischi più belli degli ultimi decenni. L’ultimo disco che mi ha cambiato la vita, invece, credo sia stato Burn Your Fire for No Withness di Angel Olsen. Ma tanto è un bollettino che ogni anno si aggiorna. Se me lo chiedi tra qualche mese, te ne dico di nuovi. Potremmo farci una rubrica…
6.Il vostro live più bello e quello invece peggio organizzato.
Black Tail ha una storia brevissima. I live che abbiamo organizzato sono stati tutti di presentazione per Springtime. Sono quindi tutti concerti incredibilmente belli, in posti straordinari frequentati per lo più da quel tipo di persone interessate ad uscire di casa anche per conoscere qualcosa che non hanno mai sentito. È difficile che in questi circuiti le cose vadano male, anche perché nessuno ha la pretesa di fare altro che non interessarsi esclusivamente alla musica, per cui si parte da un livello di preparazione (e cultura musicale) di chi gestisce i locali e il live, sempre alto, e una disponibilità e cortesia davvero straordinarie. La parte più bella è quando, dopo aver suonato, inizi a parlare di dischi e di musica con le persone. Quello è anche il senso di tutto, per quanto mi riguarda.
7.Il locale di musica dal vivo secondo voi ancora troppo sottovalutato e, al contrario, quello eccessivamente valutato tra quelli dove avete suonato o ascoltato concerti di altri.
I locali troppo sottovalutati sono certamente quelli che cercano di farsi carico della proposta underground di musica originale, che ospitano i circuiti di etichette indipendenti o musicisti non allineati, che faticano magari il triplo perché non affiliati a una qualche parrocchietta o giro particolare. Locali che propongono spettacoli di artisti che non sono solamente i soliti artisti che rimbombano sulla scena. Circoli culturali di vario genere, che hanno un approccio più orientato al diffondere una cultura musicale, gestiti da persone che hanno capito il valore di creare una scena. Altri interessantissimi esperimenti sono condotti da persone che operano nell’ambiente musicale e che organizzano piccoli concerti, in varie venue, è il caso di una realtà di Roma che promuove private concerts di artisti internazionali, totalmente senza inseguire hype, e con piena onestà intellettuale. Ecco, è grazie a questi posti che ho scoperto musicisti internazionali e nazionali con percorsi obliqui e davvero alternativi, nel senso onesto del termine. Non mi piace fare nomi per lodarne alcuni piuttosto che altri, perché sembra ruffiano. Ognuno nella propria provincia ne avrà sicuramente tanti: ecco, questi locali meriterebbero maggiore favore di pubblico. Anzi, mi augurerei che ognuno iniziasse ad andare in cerca di locali del genere, perché è sicuro che ce ne sono ovunque. Circa la seconda parte della domanda, non credo sia del tutto corretto pensare che un locale possa essere sopravvalutato: l’importante è che circoli il più possibile musica. Sta poi ai musicisti aver chiaro dove voler andare o non andare a suonare, a quale scena o percorso appartenere. Contrariamente a quanto si crede, c’è posto per tutti, e non è vero che alcuni artisti hanno più diritto di altri di calcare i palchi: quello serve sempre a chi deve vendere dischi. La gente non è stupida, se le offri alternative sa scegliere da sé. Il limitare le alternative è appunto, solo funzionale a preservare i propri privilegi, eliminando dalla scena i fattori che minacciano tali privilegi. Ma se esiste alternativa, non vedo conflitti. Prima facciamo pace con questo, e meglio è per tutti.
8.Le tre migliori band emergenti della vostra regione.
La scena laziale è piena di esempi da fare, e quindi dico subito che giocherò sporco, e ugualmente probabilmente dimenticherò qualcuno. Se parliamo di amore a prima vista e ascolto, devo dire subito non due gruppi, ma due label: MiaCameretta e Gusville Dischi, perché sono vicine alla mia idea di musica, hanno saputo creare piccole scene e soprattutto approcci (con le dovute distinzioni, per non esagerare) vicini alla delicatezza e alla caparbietà di esperienze come la Sarah Records. Pertanto, iniziando a far nomi, Flying Vaginas, Blonderr, Sky of Birds, 7 Training Days, Complicated, Strueia per quanto riguarda i laziali presenti in MiaCameretta (ma consiglio anche a costo di uscire dalla domanda, i pugliesi Santa Muerte). Tutto il catalogo di Gusville Dischi è laziale, e in particolare della zona tra Aprilia e Latina, per cui c’è solo da sbizzarrirsi, sia per i gruppi attivi sia per i progetti inattivi: Real Beauties, Paalsa, Chilly Willies e via dicendo. Sul fronte più punk / psychobilly, sicuramente i Bone Machine, i Gozzilla e le Tre Bambine coi Baffi, i Twister o le cose prodotte da BrigaDisco.
Oltre a questo, c’è da un paio di anni un festival estivo di musica underground a Itri che fa spavento per la proposta musicale. I Go!Zilla; oppure le etichette romane come la 42, la Geograph, che se le sondi, ne trovi di cose. Sul lato folk / darkwave, sicuramente i Dead Bouquet, che sono dei Castelli e hanno prodotto un bel disco con Seahorse. E per chi ama il cantautorato, Calcutta. Non ci facciamo mancare davvero niente. Per la redazione: so che ho fatto un po’ l’indisciplinato non facendo solo i tre nomi richiesti, ma per rimediare vi propongo solo tre link da aggiungere ai nomi, tanto dalle etichette poi si arriva alle band. Così è come se implicitamente avessi risposto alla richiesta di fornire tre nomi…
Mia Cameretta: http://www.miacameretta.com/
Gusville Dischi: http://gusvilledischi.tumblr.com/
Flying Vaginas: https://www.facebook.com/FlyingVag/
9.Come seguirvi, contattarvi, scambiare pareri con voi.
Facebook: https://www.facebook.com/blacktailmusic/
Soundcloud: https://soundcloud.com/blacktailmusic
Bandcamp: https://blacktail.bandcamp.com/
Più ovviamente i contatti email che troverete facilmente su quei tre link. Perché non ci neghiamo mai una bella chiacchierata, specialmente sulla musica.
10.La decima domanda, che mancava: “Fatevi una domanda e datevi una risposta”.
D: Come vi vedete tra cinque anni?
R: Con più scambi musicali e amici, più progetti. Ma soprattutto, possibilmente, pronti a dare le stesse risposte circa la nostra concezione della musica e del nostro ruolo. Senza disillusioni o disperazioni su fantomatiche catastrofi che distruggeranno il mondo, la musica o l’isola di Lost.
DORIANA TOZZI