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Corsi e ricorsi filmici: fenomenologia di Checco Zalone

ZaloneCadoDalleNubiNel 1960 Umberto Eco dedicò un suo saggio al presentatore televisivo Mike Bongiorno, simbolo di una mediocritas non tanto aurea come auspicato dai padri latini, ma comunque sufficiente per dare all’apparentemente anonimo e poco colto conduttore successo e fama.

Cinquant’anni dopo un giovane pugliese, Luca Medici, laureato in giurisprudenza, diventa celebre a livello nazionale con un nome d’arte allusivo e ammiccante alle origini volgarotte dell’italiano medio che si prefigge di rappresentare: Checco Zalone.

Il suo primo film, Cado Dalle Nubi, uscito nel 2009, dà inizio al vincente sodalizio tra Zalone/Medici e Gennaro Nunziante, regista, sceneggiatore e talent scout. In questo modo si costruisce la figura del giovanotto sciocco, il classico Zanni della commedia dell’arte che, anche se considerato stupido dal sentire comune, a volte mostra maggiore saggezza e lungimiranza.

Stesso filone è mantenuto nelle successive pellicole, furbescamente uscite con cadenza biennale per creare maggiore ZaloneQuoVadoaspettativa nel pubblico. Interessante, inoltre, la scelta di utilizzare come spalla un attore serio, di solida scuola. Ecco, quindi, la contrapposizione tra Marescotti, inflessibile leghista nel primo film o addirittura con Marco Paolini, apprezzato interprete  del teatro di denuncia. Il binomio tra lo sciocco e il presunto colto ha del resto antichi retaggi. Si ricordano gli sketch dei fratelli De Rege, poi ripresi negli anni ‘50 da Walter Chiari e Carlo Campanini.

L’ultima pellicola di Zalone, uscita il primo dell’anno 2016, Quo vado?, è un trionfo di luoghi comuni non privi di qualche blooper evidente e di qualche incongruenza (Mattarella presidente e successivamente Sanremo 2015 trasmesso prima dell’elezione del politico siciliano alla presidenza della repubblica, ad esempio). Insomma, Zalone risulta essere al tempo stesso furbo e superficiale, ma comunque attento ai cambiamenti sociali come in passato altri comici hanno saputo fare. E la spalla di questo film, la dottoressa Sironi, riprende un personaggio analogo, forse la prima tagliatrice di teste mai apparsa in una pellicola italiana: la dottoressa Jacobetti del film L’Impiegato (1959).

Amato e odiato, tanto da generare dispute degne dei sostenitori di Bartali e Coppi, Zalone cavalca l’onda, piace ma non è indubbiamente eccelso. Eppur se ne parla, esattamente come accadde per il mite e mediocre Bongiorno quasi sessant’anni fa.

FRANCESCA BARILE

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