Ha la fregola della scintilla che vuole farsi fuoco ma teme di bruciare tutto o non bruciare abbastanza, l’io narrante di Un’estate qui, del canosino Stefano Saccinto, giovane e promettente scrittore, se si considera la freschezza stilistica e spirituale che ha animato questa sua prova letteraria.
Un’estate qui è un ricamo di memorie quotidiane, pensieri contorsionistici ritmati dallo spirito della musica, dei libri, dei film, delle storie delle aspettative e delle paure di chi si trova a dover prendere decisioni reali e concrete per la prima volta, senza più nessuno che scelga per te.
È un romanzo dello spirito, scritto con la voglia di fare chiarezza in se stessi e con la velocità che solo i pensieri e i romanzi di Kerouac possono sostenere.
Sono i “racconti del Pandino”, di quella fedele macchina in cui il protagonista trova uno spazio sospeso in cui proiettarsi nel futuro o dentro di sé, da solo, con gli amici o col suo amore, Mia.
Un’estate qui è un titolo ed una stagione azzeccati in quanto momento sospeso, di stallo, durante il quale non rimane che pensare e progettare, perché è simile alle tre del pomeriggio: una stagione troppo tarda e troppo precoce per fare qualunque cosa… Quando l’azione viene a mancare, non rimane altro che fare gli acrobati sul filo delle riflessioni di chi ci ha preceduti, siano essi Nietzsche o Cobain.
Saccinto ha dato così vita ad un diario agrumato e semplice, bello e autentico, vivo e palpitante, intelligente e avido di vita, forma, sogni, aspirazioni e voglia di brillare come diamanti nel contesto anonimo di una grigia miniera.
ANGELICA SCARDIGNO