Massimo Priviero torna sulla scena musicale italiana trafugando da un cassetto impolverato lettere di giovani migranti del bel paese, di ieri e di oggi, che inaspettatamente sono legate dallo stesso fil rouge: il viaggio, l’addio e lo sguardo malinconico alla propria patria. Lo fa con un album, All’Italia, in cui riesce a tessere sul suono di chitarre e fisarmoniche, ma non solo, racconti di vita, istantanee di decenni della storia italiana, che restituiscono un Priviero maestro di scrittura, quest’ultima saldamente ancorata alla melodia di ogni traccia.
All’Italia è un concept album, nelle musiche e soprattutto nei testi, degno di questo nome. È un album che non si sforza di tracciare un sentiero continuo, ma lo impone. È una fatica discografica che va ascoltata prendendo fiato tra una traccia e l’altra in modo da ingoiare i bocconi amari che Priviero ha confezionato nell’urgenza di cantarli con una trama vocale che non ha perso la cifra che ha contraddistinto negli anni la sua scrittura.
La capacità di racchiudere in tredici canzoni un intero secolo di emigrazioni, di malinconiche nostalgie e a volte di ritorni, contraddistingue un album che conduce in maniera incalzante dagli anni ’20 di Villa Regina, un paese costruito dai migranti italiani, ai giorni nostri, alla “generazione Bataclan”. Così, dopo il singolo London, il brano dalle sonorità più veloci dell’album, come veloce è d’altronde la locomotiva d’Europa, in cui il pensiero è tutto per suo figlio, Priviero estrae Bataclan come secondo singolo, un brano dolce quanto sofferente se lo si ascolta consci di un finale che, seppur non esplicitato, non può che tuonare in mente tra una nota e l’altra. È l’emigrazione 2.0, quella successiva alla Berlino degli anni ’80, quella di giovani studenti europei che partono audaci alla conquista dei propri sogni. Massimo Priviero, in Bataclan mette in musica una lettera di inaudita dolcezza che Valeria Soresin avrebbe scritto a sua madre: “Comunque qui tutto bene e non mi manca niente, lavoro e studio e vedo un sacco di gente. Parigi è dolcissima ma Venezia è magia, io qui son felice ma non è casa mia”. Così intona Priviero su note strazianti prima di congedarsi come ogni figlio farebbe con sua madre: “Ti chiamo domani, che adesso vado ad un concerto, ho tutti i miei amici che mi aspettano lì. Stacco un po’ la spina che certo male non fa e faccio un po’ di festa fino a quando mi va, stasera voglio star bene stare in mezzo al baccano, vado in un bel locale, si chiama Bataclan”.
Priviero decide di affrontare un percorso di scrittura senza politicizzarsi, decide di essere solo, ma non è così semplice, voce narrante di storie vere che nella loro migrazione quasi innalzano un inno a Dio affinché l’Italia torni madre dei suoi figli e non più solo culla di orfani. È la speranza di tornare e la consapevolezza che la terra d’origine sia lì ad aspettare che muove il racconto di Aquitania, in cui un contadino implora: “Dio del cielo se parli italiano dille che tornerò […] che la sposerò”. E sulla stessa lunghezza d’onda si colloca anche Fiume, il ritorno di un uomo, ormai anziano, nella terra dell’Istria, la sua terra d’origine. Gli addii però sono anche imposti da catastrofi naturali che hanno lacerato il volto dell’Italia nel secolo scorso come il terremoto che colpì il nord Italia nel 1976 imponendo ai sopravvissuti di farsi forza e andare altrove, narrate in Friuli ’76 e in Basso Piave in cui, nel 1966, un’alluvione pone fine alla vita nei campi. Priviero non tralascia nessuna accezione che la migrazione può assumere nella vita di un uomo, perché partire significa anche riscoprirsi, conoscere se stessi; così in Mozambico ad emigrare è un medico volontario che sceglie di andare, controvento, verso la felicità.
Abbi Cura chiude una raccolta di storie amare, nostalgiche, di coraggio e a volte di rinascita con un augurio che ha i tratti di un monito per l’Italia che verrà e siccome le canzoni non vanno spiegate, ci piace immaginare che sia un augurio proprio all’Italia: “Abbi cura dei tuoi giorni se la vita cade giù […] cerca il tuo tempo migliore ed un sole che ti scalderà e quando sarai lì sotto al tuo cielo, io giuro che con te ci sarò anch’io e se ti chiederai cosa sarà di noi, salva l’ultima carezza mia se vuoi”.
Questo è il sito web di Priviero: http://www.priviero.com/
Qui il videoclip di London: https://www.youtube.com/watch?v=WpPr79G6t7k
COSIMO GIUSEPPE PASTORE