Karyn Kusama, una regista che aveva iniziato in piccolo promettendo benissimo con Girlfight (da più parti lodato e premiato) e che poi, molto probabilmente schiacciata da produzioni pressanti, aveva deluso pesantemente con due film evitabilissimi come Aeon Flux e Jennifer’s Body, ritorna dopo parecchi anni dalla sua ultima opera con questo film datato 2015, di nuovo “piccolo”, ma magicamente pieno del suo talento. The Invitation, infatti, è un horror-thriller molto poco canonico, che viaggia sul filo instabilissimo della paranoia e della suspense, con un alone quasi insopportabile di grandissima tensione e con uno strisciante dubbio sulla reale capacità di percezione del protagonista.
Lui è Will un uomo che si ritrova a dover affrontare una profonda depressione a causa della perdita di suo figlio, che lo ha portato ad allontanarsi da sua moglie Eden, la quale dopo due anni ritorna in città e invita lui e tutti i loro amici per un cena in cui rivedersi tutti insieme e in cui, soprattutto, presentare loro il suo nuovo compagno. Nonostante le difficoltà che Will sta affrontando nel portarsi dentro un profondo dolore per la morte del suo bambino, insieme alla compagna Kira decide di accettare l’invito.
E già prima di entrare nel vivo di quella che sarà una cena tesissima e molto particolare, abbiamo una sequenza in cui il presagio di qualcosa di incombente e di terribile si palesa a Will e Kira, che mentre si recano nella vecchia casa di lui investono un coyote, e Will, spinto da un misto di pietà e di forza bruta, decide di porre fine alle sue sofferenze uccidendolo con il cric dell’auto. Questa è una delle sequenze, non l’unica, emblematiche del sottotesto di quest’opera, tutto costruito sul senso di pietà e compassione da un lato e sulla gestione del dolore dall’altro. I due poli di questa dicotomica riflessione sono proprio i due ex coniugi che si trovano dai lati opposti della stessa tragedia. Quello che lascerà più perplesso, imbarazzerà e poi, alla fine, sconvolgerà Will, infatti, è il nuovo stile di vita e di pensiero di Eden, che dopo essersi affiliata ad una sorta di setta tesa alla cancellazione di ogni dolore e preoccupazione dalla propria mente, sembra affrontare la vita in maniera spensierata e leggera, cancellando totalmente la presenza del lutto e della perdita dalla sua esistenza.
La cena, infatti, se dapprima ci mostra un misto di imbarazzo e curiosità da parte dei vari invitati (gli amici di una vita), dall’altro ci accompagna soprattutto nella mente di Will irta di dubbi e di sospetti circa il nuovo compagno di Eden, a cui il gruppo racconta l’esperienza vissuta nei due anni precedenti. E noi, insieme agli amici, restiamo perplessi circa i suoi atteggiamenti: sono solo reazioni di un uomo ancora distrutto dal dolore o c’è davvero qualcosa che non va in questa cena e in queste persone?
Fino alla fine, grazie anche ad una regia tesissima che stringe spesso sui primi piani del protagonista (straordinariamente impersonato da Logan Marshall-Green, in grado di donare a Will la giusta profondità di sguardo) e che giostra abilmente gli spazi scenici dando il giusto peso alla messa in scena claustrofobica e affascinante al tempo stesso (si gioca tutto negli spazi chiusi e a tratti tetri dell’abitazione), anche noi spettatori continuamo a domandarci se Will sia nel pieno delle sue facoltà mentali, visto che rivedere la stanza di suo figlio e in generale i posti in cui ha vissuto con la sua famiglia lo portano ad uno stato di tristezza e agitazione al tempo stesso.
Il finale, decisamente prevedibile per certi versi, lascia di stucco per la totale virata verso un ritmo e una violenza inaspettati trasformando il terrore “atmosferico” in vero e proprio terrore “fisico”. Ma quello che sconvolge lasciando a bocca aperta i protagonisti e lo spettatore stesso è l’ultimo, inaspettato e sconvolgente fotogramma.
ALESSANDRA CAVISI