Non aveva bisogno di convincere nessuno, soprattutto dopo le ottime prove di In Bruges e di 7 Psicopatici (che pure sconta una fin troppo scoperta emulzione tarantiniana). Ma col suo terzo lungometraggio, il regista britannico Martin McDonagh, nonostante si allontani dal suo habitat di origine, ambientando questa storia nella provincia americana gretta, sporca, ignorante, sanguigna e al tempo stesso estremamente umana, raggiunge la completa maturità artistica, regalando allo spettatore un gamma variegatissima di emozioni, cominciando dalla risata più smargiassa, passando per la commozione più profonda, senza tralasciare la riflessione su un certo tipo di umanità e di società.
I protagonisti di questa storia di “reietti”, che non hanno però dimenticato di essere umani e nonosante gli odi reciproci riescono anche ad essere empatici l’uno nei confronti dell’altro, sono una madre a cui è stata stuprata e poi uccisa la figlia adolescente e un poliziotto in fin di vita a causa di un cancro. Loro sono gli “antagonisti” che, paradossalmente, con rispetto e compassione reciproca lottano uno contro l’altro a causa dei tre manifesti che danno il titolo all’opera e che simboleggiano molte cose: la ristrettezza mentale degli abitanti di piccole comunità dove si conoscono tutti e dove è difficile mettersi contro persone rispettate e rispettabili; il razzismo che striscia potentemente tra le menti “ristrette” di queste piccole comunità; la brutalità che spesso si palesa nei momenti e per i motivi più impensabili, nonostante una bontà d’animo innegabile che può risiedere nella coscienza delle stesse persone che la adoperano in suddetti momenti.
La protagonista femminile (straordinaria Frances McDormand, anche lei una conferma, in lista per gli Oscar, premio che finalmente meriterebbe dopo una carriera sempre brillante, ma forse un po’ troppo defilata), dopo mesi di inoperatività da parte della polizia locale che si trova in una fase di stallo circa le indagini sull’assassinio di sua figlia, decide di provocare loro e la comunità in generale, affiggendo tre enormi cartelloni pubblicitari, in cui chiede espressamente al capo della polizia come mai non ci siano ancora arresti, dopo che sua figlia è stata stuprata mentre moriva. Il protagonista maschile (il sempre fidato Woody Harrelson, garanzia per qualsiasi amante della settima arte che si rispetti) è proprio il suddetto capo della polizia che, nonosante ce l’abbia messa tutta per scoprire i colpevoli del brutale omicidio, non è riuscito a risolvere il caso, dovendo tra l’altro preoccuparsi della malattia terminale che sta per portarlo verso una morte sicura.
Ma il vero ago della bilancia di questo squarcio intensissimo e terribilmente coinvolgente di estrema umanità, è costituito da un terzo personaggio, colui che impersona mgnificamente l’assunto fondamentale dell’opera. Parliamo dell’agente Jason Dixon, uomo tonto, mammone, strafottente, violento, razzista, a tratti stupido e inconcludente, ma al tempo stesso, grazie all’evolversi della vicenda e all’escalation di situazioni che si andranno a susseguire in seguito all’affissione dei tre manifesti, dimostrerà anche una ferrea lealtà, un senso di giustizia molto potente e una capacità di perdono non indifferente.
Se, infatti, siamo portati facilmente a capire e giustificare le azioni svolte da una madre in preda alla disperazione per la perdita della figlia e da un poliziotto in fin di vita che per questo sarà presto costretto ad abbandonare l’amata moglie e le figlie e, quindi, in un certo senso, è anche facile capire che per loro c’è spesso un motivo valido dietro certe azioni e certe scelte (anche se diventa davvero molto poetica e toccante l’“amicizia” e soprattutto il rispetto reciproco che intercorrono tra i due), diventa, invece, quasi miracoloso il percorso di crescita e di formazione che l’agente Dixon si trova a percorrere all’interno di questa storia che, come sempre capita nei racconti più riusciti, parte dal particolare, ma rivela delle verità e dei concetti “universali”.
È anche al suo personaggio (interpretato da uno straordinrio Sam Rockwell, altro attore a cui spetterebbero molti più riconoscimenti, e del resto candidato anche lui all’Oscar) che dobbiamo un’altra delle qualità principali dell’opera (al suo personaggio e, ovviamente, al cinema dei fratelli Coen qui graziosamente e per niente ruffianamente “saccheggiato”): la perfetta commistione di toni che rende l’opera una dark comedy toccante e spesso anche commovente, con una serie di momenti addirittura esilaranti, altri estremamente violenti e altri ancora molto intensi e profondi.
Forse in alcuni momenti l’ironia sembra fin troppo ricercata o forzata (basti pensare al personaggio della ragazzina con la quale l’ex marito della protagonista intrattiene una relazione e al suo essere fin troppo fuori dal mondo per una diciannovenne), ma è un peccato veniale che scompare dietro ad una regia perfettamente in grado di racchiudere le coscienze e gli animi di questa cittadina di provincia, di un cast straordinariamente assemblato e di una sceneggiatura che non solo dipinge straordinariamente ciascun personaggio, ma ci regala dei dialoghi e delle considerazioni (da quelle più leggere e spassose a quelle più di spessore) decisamente imperdibili.
Qui potete guardare il trailer: https://www.youtube.com/watch?v=hSxEGQM8J6s
ALESSANDRA CAVISI