Nonnitudine è il nuovo libro dello scrittore veneziano Fulvio Ervas, conosciuto per i romanzi con protagonista l’ispettore Stucky, il più noto dei quali, Finché c’è prosecco c’è speranza, è diventato di recente anche un film con Giuseppe Battiston. Tutti sono stati pubblicati da Marcos y Marcos, e questo Nonnitudine non fa eccezione.
Un titolo particolare, Nonnitudine, che, come è ovvio, gira attorno al diventare nonni. In brevi e divertenti capitoli, il protagonista del romanzo ci racconta l’emozione di diventare nonno e di come la sua vita è cambiata, anche se il nipotino vive con la figlia in Portogallo. Per condividere la sua esperienza si inventa una specie di club con altri nonni, che decidono di incontrarsi periodicamente in un bar per raccontarsi le loro esperienze e filosofeggiare tra una foto, un video e un bicchiere.
Il libro ha la leggerezza di un documentario in presa diretta, un film camera a mano (o cellulare, visti i tempi), ma a emergere è un ottimo romanzo di stampo umanista, con la bella sorpresa di una fiaba morale messa in coda, quando le pagine diventano nere con le parole in bianco.
C’è un mondo strano in questa favola, con degli strani esseri del sottosuolo, timorosi di uscire dal loro nido, perché fuori c’è un universo buio e pericoloso. Solo i libri e la curiosità per il diverso potranno portare una nuova speranza.
Questa fiaba è un bel regalo per il nipotino lontano ma un bel regalo anche per noi, come tutto Nonnitudine. Facciamo qui due chiacchiere con l’autore Fulvio Ervas.
Come è nata l’idea di scrivere Nonnitudine?
L’occasione, meravigliosa, è che sono diventato nonno e che ho sentito la necessità di ragionare, sotto forma di romanzo, sul tempo e sul suo flusso. Il tempo biologico, non quello sociale o storico. Il tempo della nostra esistenza, con i suoi passaggi e la sua rete di relazioni.
Perché questo neologismo come titolo?
Abbiamo tutti esperienza di come identificare un punto nello spazio. Sappiamo che se tracciamo una retta verticale e una orizzontale, possiamo identificare un punto. La longitudine e la latitudine. Ma noi non siamo fatti solo di spazio, ma anche di tempo e relazioni. Ecco, la nonnitudine è uno strumento per fissare uno stato della vita, una condizione dell’animo. Una sorta di identificazione di un soggetto che si muova anche nel tempo biologico.
Quanto c’è di autobiografico nel romanzo?
Il materiale narrato è quello di questa mia personale fase di vita. Ma ho cercato di allargare lo sguardo, raccontando una condizione. Non tanto quella dell’invecchiamento, parola che associamo all’essere nonni. Si invecchia comunque, con o senza nipoti. Facciamo di tutto per allungarci la vita. La riflessione, invece, è sulla coscienza di questo accumulo di tempo, sulla comprensione dei passaggi, sulle opportunità di ogni fase di vita e sulla responsabilità. Non a caso l’io narrante affronta la nonnitudine assieme ad un gruppo di neononni, tutti un tempo facenti parte di un’associazione di geostrategia, dedicati a studiare l’evolversi politico del mondo. Si occupavano di futuro e adesso si occupano di nipoti e possono farlo responsabilmente, non perché si sono rimbecilliti, ma perché hanno elaborato strumenti di analisi della realtà.
La parte finale del romanzo è occupata da una favola moderna. È nata appositamente per questo libro o l’avevi già in testa autonoma? Perché per questa c’è un cambio cromatico, con le parole scritte in bianco su foglio nero?
La fiaba nasce come tentativo del nonno di sottrarre il suo nipotino ai pericoli del mondo. Perché un mondo dove due adolescenti psichici, uno negli USA e uno in Corea, dissertano sulla lunghezza e potenza dei loro missili, è un luogo pericoloso per bambini e adulti. Quindi rischiamo di trascinare il mondo in un’epoca tremenda, dalla quale si potrà emergere solo grazie all’energia e all’immaginazione dei bambini. Che leggono.
Così le pagine nere, con cui è stampata la favola, ci ricordano che questo mondo, in mano a questi adulti pazzi, può diventare un luogo buio, rischiarato solo dalle parole, bianche, di chi ha nelle proprie tasche il futuro.
Quasi in contemporanea con Nonnitudine è uscita la riedizione di Finché c’è prosecco c’è speranza, dal quale Padovan ha tratto il film con Battiston. Ha influito positivamente per far conoscere il tuo lavoro e l’ispettore Stucky?
Il film è andato molto bene. Consideriamo che è un film assolutamente indipendente e fuori dai grandi schemi dell’industria cinematografica. Quindi con le sue gambine ha camminato moltissimo e ringraziamo i numerosi spettatori che l’hanno sostenuto. Poi, come è naturale, un film nelle sale rilancia il libro, e la stessa figura dell’ispettore Stucky.
Immagineresti un film tratto anche da questo tuo nuovo libro?
Non lo so. Nonnitudine è un libro per adulti, un libro sul tempo e sul sorriso dei bambini. Adulti dotati di una certa sensibilità, non saprei se possa essere cinematograficamente appetibile. Ma chissà…
Ritieni positiva la tua esperienza con il cinema? Proseguirà con altri film tratti dai romanzi con l’ispettore Stucky?
Lavorare ad una sceneggiatura è stato stimolante. Stiamo ragionando su come dare altre occasioni a Stucky, magari con una serie televisiva.
Progetti letterari futuri?
Un nuovo Stucky, e il tema è Porto Marghera.
DIEGO ALLIGATORE