“Se vuoi avere successo devi trasferirti in città”, dicono. “Devi andare a Milano, a Roma, a Londra, a New York…”, dicono. Sembra una formula facile: ti trasferisci e vinci tutto. Ma è proprio così? L’artista che abbiamo intervistato per questo numero, ad esempio, a Milano ci è andato eccome, eppure il successo planetario l’ha raggiunto solo tornando alle sue radici, nella sua Molfetta, lontana dai riflettori dello show-biz ma perfetta per il contatto ravvicinato con la gente “vera”, che popola le sue canzoni. Un altro perfetto esempio dell’“iThink-pensiero”, insomma, è proprio lui, Michele Salvemini, alias Caparezza.
Come sempre nelle nostre “interviste VIP” ci concentriamo su contenuti diversi da quelli che potete leggere altrove, su riviste ben più note della nostra, preferendo chiacchierare con Michele del suo pensiero prima ancora che della sua musica, per conoscerlo più da vicino e comprendere il punto di vista su questa questione della “fuga dei cervelli” da parte di un “cervello” che è tornato, costituendo l’eccezione che conferma che una regola in realtà non c’è.
Ciao Michele, che ne pensi dei frequenti esodi dei giovani talenti alla volta delle grandi città del centro-nord?
Avendolo vissuto personalmente ne comprendo bene le ragioni. La mia scelta di tornare stabilmente a Molfetta è stata dettata più che altro dall’ostinazione, dalla volontà di sfatare il mito dell’emigrante, ma alla fine è chiaro che, più che un mito, questo sta purtroppo diventando sempre più una realtà.
Temo che noi italiani tra qualche anno diventeremo fortemente emigranti, dato che viviamo in una società democraticamente e socialmente malata, dove le persone non riescono a soddisfare i loro sogni e pensano di trovare più possibilità altrove. In realtà non è sempre così, non sempre trasferendosi in città più grandi si trovano le opportunità che si cercano, per cui bisogna sempre valutare diversi fattori prima di decidere che l’unica possibilità sia quella di partire, eppure sta diventando sempre più spesso la risposta automatica a tante domande sul proprio futuro.
Dal sud Italia ci spostiamo spesso verso il centro-nord ma anche dal centro-nord spesso si trasferiscono verso il nord Europa o in America.
Migrare non è un male quando serve a fare esperienze, ad arricchirsi, ad aprire i propri orizzonti, ma se lo si fa perché ci si sente costretti non è mai un bene.
Secondo te, quindi, cosa occorre per evitare il fenomeno dei cosiddetti “cervelli in fuga” e limitare questa “migrazione forzata”? E pensi che i giovani, se potessero restare, sarebbero davvero in grado di cambiare le cose e migliorare le loro terre d’origine?
Sinceramente penso che i giovani talenti potrebbero fare tanto, perché servono sempre nuove idee, più giovani, più fresche e meno “contaminate” dalle prassi, per evitare lo stagnamento di certe situazioni e per permettere l’evoluzione. Ma i giovani potrebbero dare di più solo se messi nelle condizioni di farlo. Ad esempio, in Puglia, occorrerebbe un contesto culturale diverso che possa permettere di confrontarsi, di scambiarsi idee, di trovare occasioni ed opportunità per farsi conoscere, mostrare le proprie opere, le proprie idee…
…ed evitare di “venire a ballare in Puglia”, con quel “ballare” inteso in senso nefasto come canti appunto in Vieni a ballare in Puglia, tra le canzoni più belle del tuo ultimo disco, Le dimensioni del mio caos. Se ti dessimo una bacchetta magica per intervenire tu stesso, oggi, e cambiare con un solo tocco quello che secondo te rovina maggiormente la nostra Puglia, cosa cambieresti?
Metterei la cultura al primo posto e il profitto all’ultimo. Si ragiona troppo per spazi commerciali e non per spazi culturali, non capendo che invece è proprio la cultura, più che l’economia, che può cambiare gli assetti della società.
I lavori nell’ambito della cultura e dell’arte spesso sono considerati mestieri di serie B, mentre vengono considerati mestieri di serie A quelli che rivestono ruoli di potere. Secondo me è tutto il contrario! Se si puntasse di più sulla cultura piuttosto che sull’economia non si avrebbero, ad esempio, tutte quelle industrie che tradiscono il trattato di Kyoto e continuano ad emanare sostanze cancerogene, preferendo il profitto addirittura alla salute!
Mi viene in mente, in tal proposito, una frase che ho letto sul tuo sito e su una tua maglietta: “Il futuro non è più quello di una volta”!
Sì, hai ragione. Quella è una frase di Ivan, poeta contemporaneo che passa il tempo a scrivere poesie e micropoesie sui muri delle città.
Io in realtà sostengo che non bisogna pensare al futuro né al passato ma solo al presente. Certo il futuro di oggi mi fa più schifo del futuro di ieri e penso che siamo in una fase decadente, sempre parlando da un punto di vista di stimoli culturali.
Non credo che in una nazione dove la maggior parte delle persone vota in una certa maniera e la pensa in una certa maniera si possano vedere prospettive positive! Ma non per questo devo piegarmi a pensarla come loro, anzi, procedo, come diceva De Andrè, “in direzione ostinata e contraria”. Bisogna sempre fare ciò che ci si sente di fare e non ciò che si deve.
E a proposito di “fare”, parliamo un po’ di quello che fai tu, ovvero del tuo lavoro. Il disco Le dimensioni del mio caos è uscito da più di un anno: ci vuoi accennare qualcosa riguardo al suo successore?
Prima di tutto miro a fare qualcosa di ancora più personale, che non assomigli a niente altro. Mi sento ancora a metà percorso: sento di aver trovato una strada e devo renderla ancora più diretta e appunto personale.
Non posso accennarvi molto perché, solitamente, quando termino un tour mi butto subito a capofitto nella scrittura dell’album successivo, invece questa volta sto attendendo perché voglio fare qualcosa di fortemente ispirato, perciò ho deciso di vivere un mese e mezzo senza toccare gli strumenti, per vivere pienamente esperienze anche estreme e particolari, in modo tale da fare un album che almeno nella mia “testa di capa” possa esser abbastanza diverso dai quattro fatti fino ad ora, che sono stati tutti di critica sociale.
Diciamo che l’intenzione è quella di spostare un po’ l’asse, non vorrei fare qualcosa di prevedibile perché trovo che la prevedibilità sia la morte stessa dell’artista.
Allora resteremo sintonizzati sulle tue frequenze finché non uscirai con il tuo nuovo album, intanto ti ringrazio per questa intervista “illuminante” e spero che le tue parole possano far riflettere sia i giovani che i nostri politici. Come si suol dire: ai posteri l’ardua sentenza.
Grazie a te per questa chiacchierata così diversa dal solito.
DORIANA TOZZI