Il piccolo Tommi, 4 anni, una sera scompare durante i festeggiamenti in maschera della festa del Krampus. Il padre che lo accompagnava viene ritenuto in qualche modo colpevole, ma dopo cinque anni viene ritrovato un bambino il cui DNA combacia con quello di Tommi. Il dubbio che presto attanaglia molto abitanti del paese, tra cui la madre e il nonno è: si tratta davvero dello stesso bambino?
In Fondo Al Bosco parte facendoci credere e in qualche modo illudendoci di essere di fronte ad un horror nudo e crudo, con un incipit molto suggestivo in tal senso, per poi rivelarsi in realtà un giallo drammatico, non facendo comunque rimpiangere la visione, grazie all’ottima confezione e alle intense interpretazioni dei due protagonisti principali: il padre interpretato da Filippo Nigro e la madre interpretata da Camilla Filippi.
Stefano Lodovichi con questa sua opera gioca bene con la componente mistery del racconto, tratteggiando con ottime soluzioni registiche le vicende dai contorni noir che racconta, vicende arricchite da una colonna sonora fondamentale nel dare un’impronta precisa alla storia, soprattutto ai momenti in cui il dubbio circa l’identità del bambino si fanno sempre più pressanti all’interno di questa piccola comunità completamente chiusa in se stessa.
Infatti, l’arma del genere viene sfruttata da Lodovichi per andare a sondare temi quali la genitorialità e la famiglia in generale, nonché la ristrettezza culturale e la morale distorta di determinate realtà provinciali, con diverse generazioni messe a confronto. Confronto da cui nessuno (dal bambino, al giovanissimo, all’adulto, fino all’anziano), sembra uscirne vincente, con una strisciante presenza del “male”, in qualsiasi forma esso si materializzi.
Ci sono due misteri principali in questo film: cosa è successo a Tommi nel giorno della festa del Krampus? E poi, cosa è successo al bambino nel corso dei cinque anni successivi alla sua scomparsa e soprattutto il ragazzino è davvero Tommi? Molti in paese iniziano a pensare che si tratti di un bambino posseduto dal maligno, ma ovviamente il dubbio che si tratti di una diffidenza dettata dall’ignoranza o, ancora peggio, da qualcosa di nascosto che deve rimanere tale, assilla sin dall’inizio lo spettatore e il protagonista maschile di questo film: un padre del tutto deciso a rimediare ai suoi precedenti errori, cercando di fare il genitore nella maniera giusta.
I momenti più suggestivi, va detto, sono comunque quelli iniziali e quelli in cui tramite dei flashback si ritorna sempre a questa peculiare e ipnotica festa del Krampus, con l’inserto di incubi notturni dai contorni orroristici e perturbanti. Per tutto il resto del tempo, invece, siamo di fronte al dramma familiare di un gruppo di persone che hanno perso la bussola e viaggiano su binari solitari per ritrovare la propria strada. Spesso, però, durante la visione si ha la netta sensazione di essere in presenza di lungaggini atte a raggiungere il minutaggio previsto, sensazione che fortunatamente scompare grazie all’arrivo di momenti che catturano totalmente l’attenzione per la loro intensità sia di forma che di contenuti.
Poco importa, allora, se il colpo di scena alla base della sparizione di Tommi sia abbastanza prevedibile e anche annunciato durante tutto il corso della narrazione, anche se poi in parte ribaltato da un doppio plot-twitst del tutto inaspettato. Ciò che importa, infatti, è quello che questo mistero porta a galla, il modo in cui da questo evento principale scaturiscono riflessioni su una comunità incapace di smarcarsi dai suoi piccoli grandi segreti, dalle costrizioni sociali e famigliari e, lo ripetiamo, dalla propria arretratezza morale e culturale.
Pur non avendo avuto il coraggio di andare davvero fino in fondo a quel bosco che dà il titolo alla sua opera, lo stile e le intenzioni di Lodovichi sono del tutto apprezzabili e contribuiscono a rendere questa pellicola un ottimo esempio di cinema italiano da tenere in considerazione.
Trailer del film:
ALESSANDRA CAVISI