Ed ecco che, dopo sette anni di silenzio, tornano loro, i Verdena. Sette anni dopo Endkadenz Vol. I e Vol. II, il doppio disco che era a sua volta succeduto egregiamente a un album tanto amato e tanto discusso che ne rappresentava in toto il titolo (WOW, ndr). Lo sapevamo tutti che sarebbe stato difficile eguagliare o addirittura superare gli ultimi lavori, ma il nuovo album, Volevo magia, si presenta senza fronzoli prendendo il capo della matassa che era avanzata e intessendo dei brani figli dei lavori e del bagaglio artistico presente nel DNA della band.
Quello a cui sembra di assistere, ascoltando le tredici tracce di questo nuovo disco, è quasi un esercizio di stile della band lombarda, che resta fedele alle sue radici e decide ancora una volta di non curarsi dell’omologazione musicale e delle mode del momento per sfornare un prodotto onesto e quanto più possibile aderente alla loro natura. Non osano e non cambiano registro per cercare più consensi e la voce di Alberto resta una di quelle certezze che ci fa sentire a nostro agio: non invecchia, e se lo fa, lo fa egregiamente. Il sound è sempre perfettamente riconoscibile, è tutto al proprio posto con un leggero ammiccamento a delle sonorità pop e acustiche che loro riescono a non banalizzare, donando spinta e carattere.
Si ritrova qui quel sano disagio in cui la loro generazione e la generazione che è cresciuta negli anni 90/00 si crogiola e si sente cullata, quella malinconia un po’ bohemien dove potersi rifugiare lontani dalla frenesia della vita moderna. D’altronde Paladini, la traccia numero undici, sentenzia: “Per sempre assente io vivrò” ed è un manifesto.
Forse non è un caso che l’album si apra col primo singolo, Chaise Longue, un pezzo dalle sonorità grunge e che risulta alla fase di comprensione del testo meno criptica rispetto al livello a cui ci hanno abituati. Sembrerebbe quasi un modo per prendere per mano l’ascoltatore e immergerlo con dolcezza nei suoni tanto cari alla band. Dalla seconda traccia in poi è un susseguirsi di sonorità rock, distorsioni punk, basso e batteria che la fanno da padroni e il tutto crea una dimensione ipnotica e, insieme ai sempre fedeli testi ricchi di immagini distorte, a tratti onirica.
Con la traccia numero sette, Sui ghiacciai, possiamo riprendere fiato grazie alla presenza della chitarra acustica. “Perdersi è un’agonia” canta Alberto, e questa agonia la riusciamo a percepire risultando di facile fruizione a dispetto dell’incomunicabilità a cui ci hanno abituato nel corso degli anni.
Volevo magia, brano eponimo, poteva avere più carattere, invece ha solo una grande sonorità che spinge il viaggio musicale nella dimensione punk rock più pura. Il disco termina con Nei rami, che risulta scelta intelligente e pensata appositamente per la chiusa. Il brano si apre, respira a pieni polmoni e termina con aria eterea un disco che, al di là di tutto, ci ha preso per mano in modo sincero e ci ha regalato emozioni discordanti e diverse fra loro. Perché con i Verdena alla fine è sempre così, che se ne parli bene o se ne parli male, l’importante è che se ne parli.
ROSA VITTORIA MANFREDI