Ci sono notizie che non vorremmo mai avere anche se fanno parte del corso naturale delle cose, come l’alternarsi del giorno e della notte o il susseguirsi delle stagioni… Sicuramente anche queste notizie bisogna aspettarsele prima o poi, eppure fa sempre un triste effetto riceverle. Così anche Umberto Eco non è più tra noi e non ci resta che il ricordo dei suoi immortali libri, delle sue lezioni, forse anche della sua spocchia e della sua amabile ironia.
Sapere che una persona influente e carismatica come lui non potrà più dire nulla di nuovo e che tutto ciò che ha scritto o detto appartiene oramai al passato è amaro, ma ci restano le sue citazioni da tramandare ai posteri.
Eco raccomandava di leggere e di tenere sempre in esercizio la memoria perché tante vite e tanti ricordi avrebbero potuto così entrare a far parte del vissuto di ognuno. Una delle sue frasi più celebri recita che “chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni…”.
Ha poi analizzato lucidamente la figura di un personaggio popolare come Mike Bongiorno nel lontano 1961, quando il presentatore italo-americano era all’apice del suo successo e amatissimo dal pubblico ma anche disprezzato dagli intellettuali perché probabilmente non aveva paura di mostrarsi poco colto.
Tutti però ricorderanno Umberto Eco soprattutto per il suo capolavoro indiscusso, Il nome della rosa, letto e tradotto in tutti i continenti e ancor più fisso nella memoria grazie all’egregio adattamento cinematografico firmato da Jean Jacques Annaud (ovviamente con l’assenso dello stesso Eco) e complice un gigantesco Sean Connery nel ruolo di fra Guglielmo, grazie al quale i personaggi del romanzo hanno preso vita e si sono fissati per sempre nell’immaginario collettivo.
Eco ha sicuramente superato quell’allure che lo caratterizzava, forse perché sottilmente adulato dall’idea di vedere trasposta in immagini la sua creatura romanzata, e ha completamente ceduto la mano, tanto che Annaud scrive nei titoli di testa “tratto dal palinsesto de Il nome della rosa”.
Così dichiarò il professore in una sua intervista a Repubblica: “è bene che ciascuno abbia la sua vita (…). Annaud non va in giro a fornire chiavi di lettura del mio libro e credo che ad Annaud spiacerebbe se io andassi in giro a fornire chiavi di lettura del suo film (…). Posso solo dire, per tranquillizzare chi fosse ossessionato dal problema, che per contratto avevo diritto a vedere il film appena finito e decidere se acconsentivo a lasciare il mio nome come autore del testo ispiratore o se lo ritiravo perché giudicavo il film inaccettabile. Il mio nome è rimasto e se ne traggano le deduzioni del caso”.
Per ragioni commerciali e di fruibilità il film doveva essere comunque privo delle complesse discussioni teoriche che, invece, sono una parte ferma del romanzo e quindi, liberato da implicazioni più dotte, si è trasformato in un avvincente giallo medioevale che ha persino dato la stura a un nuovo sottogenere, quello che vede molti ministri di Dio dell’epoca buia intenti a indagare su fatti e misfatti.
Rimane dunque l’ombra di Eco in tutta l’impresa e la sua ironia incarnata da Guglielmo da Baskerville, che vive e agisce sotto le spoglie del suo affascinante interprete.
Addio Umberto, lei certamente non cadrà nell’oblio perché ha scritto e detto troppo per non essere ricordato, ma rimarrà sempre quell’amarezza malinconica unita alla triste consapevolezza che non leggeremo più nulla di nuovo firmato da lei e ci mancherà quindi per sempre questa chiusura di capitolo artistico alla quale, a questa sì, non potevamo essere pronti.
FRANCESCA BARILE