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Depeche Mode live in Italia, in forma così smagliante da far dubitare del loro essere “umani”

depechemoderoma2017aForse non tutti sanno che: un giorno del 1980, in quel di Basildon, Essex, Vince Clarke sente per caso un amico di amici cantare Heroes di David Bowie. Gli piace e, qualche giorno dopo, gli telefona per chiedergli se ha voglia di diventare il cantante della sua band, i Composition of Sound. Così David Gahan entra nel gruppo, gli cambia anche il nome, e nascono i Depeche Mode.

Forse non tutti sanno che #2: “Non avevo mai pianto così tanto per la morte di qualcuno. Mi sono sentito come se una grande parte della mia vita mi fosse stata portata via. Bowie rappresentava una strada per uscire da me stesso e per fuggire da quello che ero. Basildon era una cittadina industriale della working class e Bowie accese in me la speranza che potesse esserci un’altra realtà. Ma dov’era questo mondo a cui lui sembrava appartenere? Ero convinto che lui non fosse di questa terra” – Dave Gahan.

Può bastare per capire perché uno dei picchi emotivi dei concerti di questo Global Spirit Tour si tocca depechemoderoma2017bquando i Depeche Mode eseguono una cover minimalista ma densa di pathos, rispettosa dell’originale eppure in pieno stile Depeche, di Heroes. Un omaggio commosso, commovente e bellissimo, significativo per la storia della band, ma anche perfettamente intonato con lo “spirito” di un tour, e relativo album, che parla di restare uniti, di restare umani, in tempi di muri e paure. Di fare una rivoluzione senza distruzione, come cantavano i Beatles nella canzone di ingresso.

Quando sfumano le note di Revolution, si comincia con Going Backwards e un rossovestito Dave Gahan che arringa la folla da una pedana sopraelevata dietro Martin Gore, Andrew Fletcher e i “semi-Depeche” Christian Eigner e Peter Gordeno.

Ed è lui, Gahan, inevitabilmente, il fulcro dello show: una presenza scenica maestosa, tanto che, mentre sui maxischermi scorrono i visual del vecchio sodale Anton Corbijn, non si riesce a staccargli gli occhi di dosso, ipnotizzati dagli sguardi magnetici e dai movimenti felini del corpo da ballerino. E dalla voce, naturalmente. La voce di Dave Gahan, e non c’è bisogno di aggiungere altro. Sexy ai limiti del diabolico in pezzi come In Your Room, Corrupt, World In My Eyes, Stripped; messianica in Where’s The depechemoderoma2017cRevolution ed Everything Counts; evocativa in Cover Me – uno dei brani di Spirit che portano la sua firma e su cui, ancora, pare aleggiare il fantasma del Bowie terrestre per sbaglio di Life on Mars?, Space Oddity, Ziggy Stardust.

I Gore moments sono come da tradizione dedicati all’acustico e al “morbidoso” da accendini in alto: A Question of Lust, Somebody, e una Home che riscalda il pubblico al pari degli altri grandi classici cantati (e ballati) all’unisono dai cinquantamila presenti: le immancabili Enjoy The Silence, Never Let Me Down Again, con un mare di braccia che oscillano a tempo e chiudono il set prima dell’encore, I Feel You, Barrel Of A Gun, chiusa da una citazione dei Grandmaster Flash and The Furious Five, Walking In My Shoes, e il gran finale di Personal Jesus.

We can be heroes just for one day”. I Depeche Mode lo sono da trentasette anni, e quando li vedi dal vivo capisci perché. Forse qualche goccia di quel sangue alieno scorre anche dentro di loro.

LETIZIA BOGNANNI

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