Massimo è un bambino di nove anni molto vispo e molto attaccato alla sua mamma, una donna che però mostra visibilmente qualche segno di depressione. L’ultima volta che avrà un contatto con lei, sarà una notte in cui la stessa gli si avvicinerà mentre dorme nel suo letto sussurrandogli “fai bei sogni”.
La stessa notte il bambino verrà svegliato dalle urla del padre, sconvolto per la morte di sua moglie. A lui verrà raccontato che la madre è morta a causa di un tumore che non era riuscita a debellare, ma dopo moltissimi anni, una volta diventato un giornalista acuto e malinconico, riuscirà a scoprire la realtà dietro questa morte che ha segnato indelebilmente tutta la sua vita.
Fare un film sulla difficile elaborazione del lutto di un figlio per la perdita della propria madre sicuramente porta con sé delle difficoltà insite nel pericolo di poter cadere nel patetico e di sfociare nel pietismo, soprattutto se consideriamo che Marco Bellocchio si è rifatto ad una materia prima letteraria partorita da Massimo Gramellini, che ha parlato di una sua esperienza personale e intima. Si può sicuramente asserire, invece, che lo sguardo del regista è stato uno sguardo a suo modo cinico, anche se “romantico”, con una apprezzabilissima “cattiveria” e ironia di fondo che non ha reso il film il polpettone che rischiava di essere. Anzi, oltre ad intrattenere in maniera brillante, Bellocchio è riuscito ad imbastire il racconto di questo bambino, poi ragazzo e poi uomo che deve fare i conti con la morte della madre e con la sua assenza più pesante della sua presenza, con una serie di riflessioni molto interessanti e stimolanti sul tema del suicidio (soffermandosi sull’egoismo che spesso contraddistingue chi decide di porre fine ai suoi giorni senza preoccuparsi di chi lascia indietro) e sul mondo del giornalismo con un massiccio rifermento a coloro che si vendono o si svendono per un “colpo grosso” non guardando in faccia niente e nessuno (decisamente riuscite al riguardo due sequenze: quella in cui Gramellini si trova in Bosnia per un reportage di guerra e il suo collega trova il coraggio di spostare un bambino seduto su una sedia che gioca ad un videogames in camera sua vicino al cadavere della madre assassinata per poterlo fotografare, e quella in cui Gramellini stesso si ritrova a rispondere alla lettera mandata alla posta del cuore del suo giornale da un uomo in conflitto con sua madre, raccontandogli della sua esperienza con la propria madre, senza indugiare su particolari commoventi e molto privati).
Insomma, è pur vero che c’è della delicatezza nel tratteggio di questo personaggio sempre in bilico tra apatia e tristezza (Valerio Mastrandea è perfetto nella parte), ma c’è anche una pungente “critica” a questa apatia e a questa tristezza. Un perfetto mix che fa del dolceamaro il suo punto di forza e che rende Fai Bei Sogni (contraddistinto anche da una bellissima colonna sonora) un film asciutto, ma non per questo poco emozionante.
ALESSANDRA CAVISI