Luca Cecchelli è giornalista, speaker radiofonico e autore versatile che però non si era ancora mai confrontato con il mondo del teatro. Quale modo migliore per cominciare se non omaggiando in maniera originale una delle maggiori poetesse del rock come Janis Joplin? In occasione del cinquantesimo anniversario della morte dell’artista, Cecchelli ha dunque realizzato lo spettacolo Janis. Take another little piece of my heart andato in scena al Teatro del Buratto di Milano e diretto da Davide Del Grosso, che troviamo anche sul palco insieme alla protagonista, interpretata da Marta Mungo. Lungi dall’essere semplicemente una rivisitazione in chiave teatrale della carriera di Janis, questa pièce pone in primo piano la complessa personalità dell’artista rintracciando inoltre nella sua vita diverse analogie con i pensieri, i problemi e gli ostacoli che ancora oggi tanti adolescenti si ritrovano ad affrontare. In questa intervista Luca Cecchelli ci racconta come è nata l’idea di questo spettacolo e quale si spera possa essere il suo futuro.
Ciao Luca, tu sei un autore da sempre eclettico eppure il mondo del teatro ancora mancava tra le tue esperienze. Com’è stato affacciarti per la prima volta a questa forma d’arte?
Da anni frequento i teatri milanesi come giornalista, oltre che per passione, e da tempo avevo il desiderio di portare in scena uno spettacolo teatrale mio. Poi la musica, nello specifico il rock, mi ha offerto il giusto soggetto e da lì ha preso forma la mia ideazione. Onestamente le difficoltà che avrei potuto incontrare misurandomi per la prima volta direttamente con testo e regia sono state superate grazie al supporto dell’attrice Marta Mungo, del drammaturgo Davide Del Grosso e il contributo di uno psicologo: un lavoro di team che mi ha permesso di dare al mio progetto la veste migliore. È stata un’esperienza molto stimolante, mi piacerebbe che avesse un seguito.
Di questo spettacolo tu sei dunque l’ideatore. Come ti è venuta l’idea di fondere la biografia di Janis con una piccola storia parallela vissuta dai due personaggi, Davide e Marta, ambientata ai giorni nostri?
Quello che ho avuto chiaro fin da subito è stato di non voler celebrare l’icona Janis Joplin che tutti (o quasi) conoscono o avrebbero anche potuto conoscere tramite libri, documentari o contenuti web. Non mi interessava ricreare un evento musicale da anniversario in stile cover band e una frontwoman che piazzasse qualche aneddoto tra una canzone e l’altra. Mi interessava invece raccontare il più possibile Janis Joplin dal punto di vista intimo, evocando emozioni che solo il teatro dal vivo ti può dare. Con un lavoro basato pertanto su aneddoti, testimonianze, pagine di diario e lettere ho prima di tutto voluto far arrivare questo personaggio agli occhi di un pubblico il più possibile ampio – giovani e meno giovani – e non necessariamente di nicchia. Questo è stato l’obiettivo. Da questa iniziale ideazione, a seguito di suggerimenti condivisi, ci sono state alcune evoluzioni che hanno portato al risultato finale. In principio mi era stato proposto di comparire in scena come giornalista insieme a Marta, in una sorta di lectio; poi è subentrato Davide sostituendomi e abbiamo cambiato il rapporto tra gli attori, assecondando un meccanismo drammaturgico utile per sviluppare il racconto su Janis, armonizzandolo alla contemporaneità. Scopo della pièce è dimostrare che in fondo, anche se parliamo di un’adolescente vissuta 50 anni fa in America, non si tratta potenzialmente di un personaggio umanamente tanto diverso da altri suoi “coetanei contemporanei”, anche qui in Italia.
Com’è nata la collaborazione con Davide Del Grosso e Marta Mungo?
Ho conosciuto Marta in teatro a Milano in occasione di un suo spettacolo qualche anno fa. Da allora siamo rimasti in contatto. Quando ho messo a fuoco questo progetto, pur avendo conosciuto per lavoro tante attrici, ho pensato subito a lei, sia per il suo stile che per la sua attitudine scenica – tanto che inizialmente avevo pensato ad un suo monologo. L’ho ritenuta perfetta per il ruolo di “narratrice della Joplin”. Davide è entrato nel progetto su suggerimento di Marta: considerate anche le tempistiche strette a disposizione ci siamo resi conto quanto fosse necessario l’intervento di un professionista nella stesura della drammaturgia. E Davide ha avuto la qualità di tradurre poeticamente e scenicamente i materiali a disposizione secondo l’idea precisa che avevo in mente, integrando nel testo anche alcuni interventi di Marta nati dall’improvvisazione, allo scopo di conferire ancora più legame con l’attualità.
C’è qualche caratteristica di Janis che il tuo spettacolo vuole maggiormente evidenziare?
Sicuramente tutto ciò che riguarda la sua vita privata e intima rispetto ad “aneddoti da rock’n’roll”. Janis, prima donna icona del mondo del rock, è stata totalmente svestita di questa immagine, svelando semmai l’adolescente inquieta, fragile e contraddittoria che stava dietro. Caratteristiche ed episodi di cui si sa poco: anche perché Janis Joplin fa più che altro parte del mito musicale americano e in Italia non ha mai avuto un seguito troppo “popolare”. Sicuramente la mia vuole essere anche un’operazione volta a farla ri-scoprire. La sfida è stata in questo senso renderla protagonista di uno spettacolo per ragazzi, quindi per tutti: dietro il mito patinato del rock c’è una ragazza normalissima, con i problemi tipici di tanti adolescenti.
La messa in scena non manca di affrontare temi importanti e purtroppo ancora attuali, che hanno riguardato la vita di Janis ma che ancora oggi sono ben lungi dall’essere scomparsi, a cominciare dal cosiddetto “bodyshaming” fino alla dipendenza dalle droghe. In che modo secondo te l’arte, e in questo caso specifico una pièce teatrale, può contribuire a questo tipo di battaglie?
Intanto portando all’attenzione del pubblico casi come quello di Janis, parlandone. La prima colpa è ignorare o banalizzare problematiche tutt’altro che superficiali, basti constatare le conseguenze che generano nel tessuto sociale. Insisto da sempre nel dire che la realtà è sempre più complessa di quella che appare e ogni problematica va affrontata con più lucidità e coerenza possibili. E poi attraverso il dibattito e il dialogo con le nuove generazioni – modalità tipica degli spettacoli del Buratto – facendo capire che non ci sono tabù e che ci si può, anzi ci si deve confrontare. Non esistono problemi che non meritino di essere esposti o trattati. Come diceva John Lennon, “non ci sono problemi, solo soluzioni”.
Come e dove hai raccolto fonti e materiale sui primi episodi della vita di Janis Joplin, quando era ancora lontana dai riflettori? E in che modo li hai selezionati?
Il punto di partenza è stato un documentario molto approfondito sulla vita della Joplin, integrato poi con altra bibliografia riguardo aneddoti e lettere. Anche Marta e Davide si sono a loro volta documentati e abbiamo poi utilizzato ciò che sembrava più in linea al nostro obiettivo, scartando altro. La selezione ha seguito il principio della narrazione dell’adolescente: più filtravamo l’immagine della Joplin dalla vita di Janis, più ci avvicinavamo al risultato. Considerando naturalmente di non omettere le tappe più importanti della sua carriera musicale, pur nel tempo massimo della messinscena un’ora.
L’attrice in scena a un certo punto dice che Janis Joplin non voleva essere rivoluzionaria ma magari “voleva essere una cheerleader, la fidanzatina d’America, prendere bei voti e fare contenti i genitori… Insomma, quelle cose banali di cui abbiamo bisogno tutti. Solo che quando proprio non ce la fai ad essere come gli altri vorrebbero che tu fossi, capita che a volte sterzi violentemente. E diventi altro”.
Ma a uno spirito libero e ribelle come Janis, se anche avesse raggiunto quegli obiettivi comuni, alla fine secondo te non sarebbe andata stretta comunque una vita omologata, finendo lo stesso per diventare “rivoluzionaria”, seppur con un altro percorso? Che idea ti sei fatto a riguardo studiando la sua personalità?
Difficile dirlo. Fedele al principio esposto poco fa ribadisco che Janis Joplin è una donna complessa, così come è stata di conseguenza imprevedibile la sua vita. Non è un personaggio dell’arte, ma un essere umano, costituito da molteplici elementi. Mi viene in mente Walt Whitman: “Mi contraddico? Ebbene sì, sono vasto, contengo moltitudini”. Così era Janis. Per tutta la vita è stata in bilico tra il desiderio di essere “omologata” ai suoi coetanei, quindi di essere da un lato amata; dall’altro di non riuscire ad accettare una certa mentalità tipica del suo Paese, come ad esempio nel caso della discriminazione razziale. Dava fastidio come tutti coloro che hanno la propria visione del mondo, dunque non inquadrabili. Ad esempio era sì bisessuale ma non per scandalizzare, cercava amore in senso assoluto, nelle donne così come negli uomini con cui andava. La sua più grande rivoluzione è stata essere fedele a se stessa.
Probabilmente il suo spirito di ribellione, come rivela tra le righe il testo di questo spettacolo, era anche una reazione naturale alla ristrettezza mentale della cittadina del Texas in cui era nata e che, scherzosamente e non senza una buona dose di provocazione, nel testo viene paragonata a un qualunque paesino del lombardo-veneto. Cosa, secondo te, hanno principalmente in comune queste due zone del mondo così distanti?
La battuta di Davide si riferisce a una certa mentalità, senza confini, perché non appartiene a un Paese ma a certe persone. Cosa hanno in comune queste persone? Una visione limitata da luoghi comuni dati da certa cultura media. Forse perché, come diceva Pier Paolo Pasolini, la cultura media è corruttrice: “Quelle che amo di più sono le persone che possibilmente non abbiano fatto neanche la quarta elementare, cioè le persone assolutamente semplici. Non lo dico per retorica, ma perché la cultura piccolo borghese, almeno nella mia nazione – ma forse anche in Francia e in Spagna – è qualcosa che porta sempre a delle corruzioni, a delle impurezze. Mentre un analfabeta, uno che abbia fatto i primi anni delle elementari, ha sempre una certa grazia che poi va perduta attraverso la cultura. Poi si ritrova a un altissimo grado di cultura, ma la cultura media è sempre corruttrice”. Janis scandalizzava perché si opponeva ai suoi tempi al Ku Klux Klan in Texas, oggi in alcuni casi non sembra che abbiamo fatto chissà quali passi avanti… Il mondo è complesso, come le persone che lo abitano, non si può tirare una riga e stabilire a priori cosa sia giusto e sbagliato, così come giudicare determinate scelte di vita.
Come dicevi poco fa, comunque, nello spettacolo non si affronta solo la Janis artista ma anche o forse prima di tutto la Janis donna, amica, amante e figlia. C’è stato qualche episodio della sua vita privata che ti ha colpito più degli altri?
Mi ha colpito scoprire quanto fosse autentica nell’amare la vita a dispetto di quello che superficialmente ci viene tramandato. Mi ha impressionato invece, perché non lo immaginavo, il rapporto che aveva con i suoi compagni di classe, di quanto le continuassero a pesare i loro giudizi e le prepotenze subite, anche dopo che diventò famosa. Se li portava dentro, non se ne è mai liberata. Lei era la prima rockstar donna in un mondo maschile, i suoi compagni tutto sommato gente comune, eppure ancora continuava a soffrire di quello che potessero dire o pensare di lei. Mi ha colpito capire quanto il bullismo ti segni, ti lasci cicatrici talmente profonde che difficilmente si ricuciono.
Sempre Marta a un certo punto dice “Janis ride e da qualche parte dentro sta piangendo”. È una frase molto potente che racchiude perfettamente e in poche parole la complessità del carattere di Janis Joplin. Vuoi raccontarci come giunge Marta a concepire questa affermazione?
Quando leggi la vita di Janis ti rendi conto che semplicemente è così. E se ascolti le sue interpretazioni o le sue interviste ti rendi conto di quanto sia una donna alla disperata ricerca di affetto per colmare tragici dispiaceri. La sua energia sembra sempre trasfigurarsi da un momento all’altro in disperazione, proprio perché i suoi fantasmi non la abbandonano mai.
L’intera pièce è accompagnata ovviamente da alcuni brani del repertorio di Janis Joplin. Come avete selezionato le canzoni? C’è stata qualche canzone che avete dovuto tener fuori?
La musica è sicuramente presente nello spettacolo, ma non dominante. Si sente, si capisce che ha fatto parte del mestiere e della vita di Janis ma ne rimane uno degli elementi, sullo stesso piano insieme ad altri altrettanto fondamentali. Abbiamo inserito Mercedes-Benz, cantata a cappella, sua ultima registrazione in assoluto, o Kozmic Blues che eseguì a Woodstock. Purtroppo Piece of my heart, celebre hit che dà anche il titolo allo spettacolo, non c’è, così come Me and Bobby McGee, suo singolo di maggior successo. La scelta musicale è funzionale al racconto, per questo ci sono queste “grandi escluse”. Non solo perché si tratta di uno spettacolo teatrale e non di un concerto, ma anche allo scopo di evitare un impensabile rapporto di mimesi tra Marta e la Joplin, scegliendo brani in armonia all’estensione di Marta. Se volete ascoltare Janis Joplin ci sono le registrazioni originali o le cover band dal vivo: qui si ascolta la vita di Janis.
In questo periodo è difficile portare in giro spettacoli teatrali, così come organizzare concerti ed eventi pubblici. Qual è attualmente il futuro previsto per questo spettacolo dopo la sua anteprima avvenuta lo scorso ottobre?
Lo spettacolo ha debuttato nei giorni precedenti l’anniversario della morte, avvenuta il 4 ottobre 1970, condizione fondamentale. E francamente non so come sia stato possibile in questo momento storico, un vero miracolo. Ringrazio anche il Teatro del Buratto, la produzione, che comunque sta fissando delle repliche per marzo 2021, probabilmente anche in serale, al Bruno Munari o al Verdi di Milano. Naturalmente ci auguriamo che almeno fino al 2023, anno dell’anniversario della nascita, possa girare in tutta Italia, compatibilmente alla situazione sanitaria. L’idea dello streaming non è da escludere anche se, scongiurando, speriamo che si possa tornare presto al teatro dal vivo. D’altra parte è quello modo in cui abbiamo voluto raccontare Janis.
DORIANA TOZZI