Siamo seduti in un bar con una splendida vista sulla città di Perugia, in un pomeriggio di luglio accarezzato da una piacevole brezza, e chiacchieriamo amabilmente con Allan Harris, uno dei protagonisti di Umbria Jazz nell’edizione 2016.
Ciao Allan, innanzitutto da dove nasce la tua passione per la musica?
Mia madre è una pianista di musica classica. Ha avuto due figli: mio fratello, che suonava il sax, ma che ha scelto come professione quella dell’allenatore di cavalli, seguendo le orme paterne; ed io, che ho iniziato suonando la chitarra e cantando.
Quando è avvenuto il tuo esordio come cantante?
Avevo dieci anni, ero alla scuola elementare e vinsi un concorso canoro; fu sempre mia madre a consigliarmi ed a scegliere la canzone che dovevo cantare.
E invece quando hai capito che la musica sarebbe stata la tua strada professionale?
Alla scuola superiore; avevo diciassette anni e capii che cantare era ciò che volevo fare nella vita. Mi sono sempre preso molta cura della mia voce e della mia gola: non ho mai fumato, ho sempre concentrato la mia attenzione su buone tecniche di respirazione… Per dedicarmi di più al canto, per un anno e mezzo decisi di non suonare più la chitarra, in modo da poter esercitare ancor di più la voce.
Ho sempre avuto dei maestri privati, non ho frequentato scuole o istituzioni per migliorare, sia nel canto che nel suono della chitarra.
Cos’hai provato quando hai cantato per la prima volta in pubblico?
Ero molto spaventato, la prima volta che ho cantato di fronte ad un pubblico è stata in un country club, di proprietà di un amico di mio padre, una domenica pomeriggio. In scaletta proposi alcune canzoni romantiche ed ebbi una reazione mista da parte del pubblico che mi ascoltava. Ciò mi rese triste e mi spinse moltissimo a lavorare ulteriormente sulla mia voce.
Quando hai cantato con una band tutta tua?
A ventidue anni entrai in un gruppo di musicisti tutti più grandi di me, a livello anagrafico. Mi chiamarono loro a cantare nella band: dissero di avermi ascoltato durante una precedente esibizione e che gli piaceva il mio modo di cantare. Così ebbi la mia prima band.
Dato che tutto è iniziato grazie a tua madre sarà stata contentissima quando le avrai comunicato di voler fare il cantante di professione, no?
Strano a dirsi, ma mia madre si mostrò ben poco contenta quando glielo dissi, perché sapeva bene che la strada per potersi affermare in questo campo è molto dura e difficile e temeva che non riuscissi ad emergere. Quando poi si è resa conto che le cose funzionavano, ha approvato in pieno la mia decisione.
Qual è stata la prima nazione, al di fuori degli Stati Uniti, dove sei stato chiamato per cantare?
Il mio primo viaggio all’estero come cantante è stato in Olanda, ad Amsterdam. Mi esibii, in alcuni spettacoli, con una big band composta da venticinque elementi in una splendida e grande sala concerti. Indimenticabile.
Sempre qui in Europa poi mi sono ritrovato a fare il primo concerto davanti ad un pubblico ben più numeroso di quello a cui ero abituato. Mi trovavo all’Olimpics di Londra, nel 2012. Ero molto nervoso, perché era la prima volta che cantavo davanti ad una platea così vasta. Mi esibii con l’orchestra russa e fu molto particolare anche questo connubio russo/americano: ne ho vissuto appieno la relativa atmosfera.
All’Umbria Jazz di quest’anno oltre te si è esibito un altro grandissimo crooner americano, Kurt Elling. Come sono i rapporti tra voi, colleghi cantanti d’oltreoceano?
Ottimi, siamo molto complici, quando possibile collaboriamo e la competizione che c’è tra noi è puramente di tipo amichevole e costruttivo. Kurt è un mio amico, stasera infatti andiamo a cena insieme. Non escludo che ci possano essere occasioni per cantare anche insieme sullo stesso palco, a me fa molto piacere. Devi sapere che oggi ci sono poche voci maschili in America e molte più voci femminili; questo forse perché prima del 1840 alle donne era proibito cantare ed ora è come se si stessero “prendendo una rivincita” su noi uomini, in tal senso (ridiamo, ndr).
Ci dici il titolo di una delle canzoni che preferisci?
(Ci pensa… dice che è difficile scegliere…) The very thought of you, la amo molto.
Immagino tu abbia avuto occasione di duettare con molti colleghi, quali collaborazioni ricordi con più piacere?
Ho avuto modo di lavorare con tantissimi colleghi di grande fama, mi è piaciuto molto, tra gli altri, esibirmi, per esempio, con Monty Alexander.
Hai girato il mondo, portando la tua splendida voce e le tue canzoni in tante nazioni differenti. In quale posto sei più contento di andare?
Lasciando fuori l’Italia, che adoro tutta, direi che amo anche molto cantare a Londra. Ma a Perugia ed Orvieto mi sento ormai di casa, e ricordo con molto piacere anche Ischia, con il suo mare, le sue terme, la sua bella atmosfera.
Cosa vorresti dire a coloro che ti stanno leggendo?
Non cambiate nulla di voi stessi, ma restate come siete: romantici e passionali, così come mi aspetto che siano i cittadini di una nazione come l’Italia.
Del tuo repertorio, c’è una canzone che preferisci?
Sì, e verrà pubblicata nel mio prossimo disco, che uscirà a settembre. Si intitola Secret Moment.
Quali sono i tuoi prossimi impegni in termini di concerti dal vivo?
Ora tornerò negli Stati Uniti, ma ripartirò presto per destinazioni come l’Australia, Riga, Parigi ed Istanbul. Ritornerò anche in Italia per la prossima edizione di Umbria Jazz Winter ad Orvieto a dicembre.
Allan guarda l’orologio… è infatti piacevolmente trascorsa quasi un’ora ed ha un impegno: ci saluta con affetto e ci dà appuntamento a dicembre, quando, durante la versione invernale di Umbria Jazz, potremo ascoltare ancora la sua splendida voce e sognare sulle note del suo soul e del suo blues.
DONATELLA DELLE CESE