Il teatro, da sempre luogo e momento di aggregazione, ha nel corso degli anni sperimentato diversi generi e modi di fare spettacolo. Tra questi uno in particolare si basa interamente sull’arte del saper improvvisare. Il cosiddetto “Match di improvvisazione” nasce in Canada, ma in pochi anni si sviluppa e diffonde anche in altri Stati nel mondo compresa l’Italia, a partire dal 1989. Talvolta il termine “improvvisazione” può risultare fuorviante, perché la capacità del saper lasciare tutto al caso nasconde in realtà il duro lavoro e i sacrifici sostenuti dell’attore per raggiungere quella naturalezza e coinvolgimento degli spettatori. L’arte del saper trasmettere, coinvolgere, emozionare, trasportare va infatti coltivata di giorno in giorno con dedizione. Per scoprire cosa si cela dietro quest’arte abbiamo intervistato Daniele Ferrari, classe ’65, attore improvvisatore da oltre quattro lustri, fondatore dell’associazione culturale ImproGramelot nonché “giocattore” di match di improvvisazione teatrale e membro della Nazionale Italiana, con la quale ha disputato ben quattro campionati nel mondo, che ci ha raccontato qual è stato il suo percorso e cosa lo ha portato a dedicarsi pienamente al teatro dell’improvvisazione.
Caro Daniele, bentrovato. Da quanti anni svolge il lavoro di attore improvvisatore?
Ho cominciato nel 1998 ma ho scelto di diventare professionista a tempo pieno soltanto nel 2006.
Un periodo al quanto considerevole! Qualche anno fa io ho avuto modo di conoscerla in veste di insegnante. Quando ha deciso di diventare maestro dell’improvvisazione teatrale?
Ho deciso a 37 anni ma più che una decisione è stata quasi una necessità, volevo trasmettere ad altri la passione e la gioia di fare improvvisazione teatrale. Ho iniziato per divertimento e curiosità, partecipando ad un workshop di due giorni ed è stato amore a prima vista! Da quel giorno il mio unico obiettivo è stato quello di farla diventare una professione.
È la curiosità che ci spinge a sperimentare, che permette di riconoscerci in qualcosa di completamente nuovo e che il più delle volte magari non ci saremmo neanche mai aspettati. Oggi lavora per qualche associazione in particolare?
Sono fondatore, assieme ad altri attori, di ImproGramelot, una scuola che promuove e insegna l’arte dell’improvvisazione teatrale nelle città Reggio Emilia, Modena e Parma e della quale sono direttore artistico.
ImproGramelot è un nome al quanto particolare, cosa sta a significare?
L’idea nasce dall’unione di due parole: Improvvisazione e “Grammelot”, una lingua onomatopeica priva di senso compiuto, inventata dai comici dell’arte nel 500 e riportata alla luce da Dario Fo.
Oltre agli spettacoli e al teatro, di cosa si occupa all’interno dell’associazione?
Sono un libero professionista che si occupa principalmente di spettacoli e formazione attoriale ma con lo strumento dell’improvvisazione teatrale ho la possibilità di tenere anche corsi di formazione in azienda relativi a team-building, comunicazione efficace e public-speaking.
Quando ha iniziato ad interessarsi ed occuparsi di formazione aziendale? Per quale motivo può essere utile una formazione di questo genere all’interno di un’azienda che potrebbe occuparsi di altro?
Ho iniziato ad occuparmi di formazione aziendale Dal 2006. L’improvvisazione teatrale riesce a riprodurre situazioni di imprevedibilità, di urgenza e di stress tipiche di un contesto aziendale dove si rincorrono prestazioni sempre più elevate e si ha la necessità di essere competitivi in tutti i reparti. Problemi come il riconoscimento della leadership, la gestione dei conflitti, la mancanza di una buona comunicazione, sono il punto nevralgico di un’azienda. Con il teatro di improvvisazione possiamo arrivare a comprendere il nostro modo di agire, di pensare, il nostro percepire gli altri e il come gli altri ci percepiscono, essere più consapevoli ci aiuta a modificare i nostri comportamenti e ad essere più collaborativi, empatici ed efficaci. Con l’improvvisazione teatrale aumentano i livelli di ascolto, la capacità di problem-solving, la reattività agli eventi e agli imprevisti, inoltre, si innalzano i livelli di coesione del gruppo, di fidelizzazione all’azienda. Attraverso un percorso ludico e divertente di apprendimento esperienziale sia individuale sia di gruppo si ottiene una crescita personale dei partecipanti, un arricchimento spendibile nel contesto lavorativo. Dunque, la finalità formativa del teatro d’Impresa è far crescere il singolo ed il gruppo per far crescere l’azienda.
Sicuramente però non ci si “improvvisa” improvvisatori da un giorno all’altro, qual è stato il suo percorso formativo?
Dal 1998 al 2000 ho frequentato una scuola specifica per l’improvvisazione teatrale ed avviamento al match d’improvvisazione, la scuola della Lega Italiana Improvvisazione Teatrale. Inoltre, ho avuto modo di lavorare con le maschere di commedia dell’arte e di partecipare a numerosi workshop di approfondimento. Ma posso assicurare che lo studio continua tutt’ora.
Che significato ha per lei essere attore?
Essere attore significa principalmente vivere una magia. Tale magia sta nel poter non essere sempre se stessi ma di poter anzi interpretare vari ruoli, creando costantemente nuovi personaggi, insomma, come giocare da bambino ai cowboys e agli indiani. Osservare i singoli nelle loro vite quotidiane, analizzando dunque i loro movimenti, le loro posture, il loro carattere, mi permette poi di riuscire a caratterizzare meglio i personaggi in scena. Essere attore però non significa solo questo, significa anche saper regalare emozioni al pubblico in diretta; buona la prima e senza possibilità di ripetere.
Come mai si è dedicato proprio all’improvvisazione? Avrebbe potuto dedicarsi al cinema, o alla commedia…
Be’, ci sono varie cose che ci differenziano dagli attori “tradizionali”, ma metterei sicuramente al primo posto la capacità di reagire istantaneamente a situazioni non previste, di trasformare un errore in una grande opportunità. Un improvvisatore deve perdere il controllo, lasciarsi andare e seguire gli altri, deve “sapere ascoltare” in senso lato. Poi deve avere fantasia, creatività, pensiero laterale e tanti altri “strumenti” e tecniche che possono risultare utili anche nella vita di tutti i giorni. La prima regola per un improvvisatore è dire “sì”, accettare la proposta dell’altro e su questa costruire una storia. Siamo senza rete, senza sicurezze e dobbiamo fare tutto senza costumi, né testo, né scenografia.
Con l’associazione culturale avrete collaborato spesso con altre realtà. Vuole raccontarci queste esperienze di condivisione?
Difficile quantificarle, oltre ad essere direttore artistico e formatore nella mia associazione ImproGramelot che conta ad oggi circa 240 allievi, collaboro con altre realtà nel panorama nazionale, tra le quali, con una certa continuità, l’associazione Alma teatro di Bologna, 16lab di Bologna, Associazione LIF di Firenze, Ares teatro di Siena, Associazione Improvvisamente di Trieste e, sporadicamente, con gruppi di Brescia, Verona, Milano, Torino e Roma.
Avete avuto modo di farvi conoscere anche a livello internazionale?
Sì, come associazione abbiamo creato uno spettacolo, intitolato Mefisto, i dannati dell’improvvisazione, che è stato messo in scena in Francia, Venezuela e Colombia. Inoltre, abbiamo avuto l’occasione di ospitare a Reggio Emilia, come scuola, docenti di fama internazionale, quali, per citarne alcuni, il coach per attori Manuel Serantes, Paolo Rossi, Daniela Morozzi, Anna Meacci, Roberto Anglisani, Fabio Mangolini, e molti attori conosciuti nel panorama dell’improvvisazione teatrale mondiale dal Canada, Francia, Belgio, Spagna. Crediamo molto nella formazione degli allievi della nostra scuola.
La sua scuola, come ci ha detto prima, conta circa 240 studenti. Si ritiene soddisfatto dei suoi allievi?
Molto! Danno grandi soddisfazioni e si impegnano davvero tanto, molti di loro entrano a far parte della compagnia amatoriale dell’associazione e ci restano per anni, inoltre, potrebbe un genitore non essere soddisfatto dei sui figli?
Come immagina la sua attività da qui a 10 anni?
Uh, difficile! Per chi ha fatto del qui e ora la sua missione di vita fare previsioni così a lungo termine è parecchio complicato, ma facendo un enorme sforzo posso vedermi a gestire la scuola che ho fondato lasciando lo spazio ai giovani… non troppo però!
Qual era uno dei suoi sogni più grandi da fanciullo? Quel sogno sente di averlo realizzato?
Ero un bambino felice che si divertiva a giocare e che del gioco è riuscito a farne la sua professione, credo di essere sempre stato improvvisatore nell’animo!
A volte capita di avere dei rimpianti, lei sente di averne?
Direi proprio di no, faccio un lavoro che amo e con passione e lavorare con dei ragazzi ti “obbliga” a restare giovane per sempre. No nessun rimpianto, davvero.
C’è stato un momento nella sua vita, nella sua carriera, in cui ha pensato di mollare tutto e di dedicarsi ad altro?
Rispondo in modo lapidario, MAI!
Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci supporti e ci incoraggi a realizzare i nostri sogni. C’è una persona in particolare che deve ringraziare e che l’ha supportata durante il suo percorso?
Ce ne sarebbero parecchie ma, sarà banale, devo dire che la mia compagna mi ha sempre sostenuto e stimolato spronandomi ad investire in questa professione, nonostante il mio lavoro ci tenga spesso separati.
Che consiglio si sente di dare a chi, come lei, ha intrapreso, o vorrebbe intraprendere, l’arte dell’improvvisazione?
Tanta determinazione e passione! L’improvvisazione non si improvvisa, ma è un esercizio continuo. Agli inizi sembra impossibile, spesso il pubblico dubita che i nostri spettacoli siano improvvisati, ma invece è proprio cosi, si improvvisa dall’inizio alla fine e garantisco che è un grande divertimento. Poi, per andare avanti e diventare professionista bisogna conoscere più argomenti e materie possibili, si spazia dai cartoni animati giapponesi a Bertold Brecht, passando per Quentin Tarantino, quindi, per dirla in breve, ci vuole tanto lavoro.
Tanto lavoro, passione e dedizione sono insomma alla base di questa arte, così come di qualunque cosa si voglia far bene nella vita. Ringraziamo Daniele Ferrari per il tempo che ci ha dedicato, permettendoci di scoprire più da vicino questa coinvolgente maniera di far teatro .
LUCIA ERRA