Mario Vespasiani è uno tra i più autorevoli e visionari volti del panorama artistico contemporaneo. L’eclettico artista marchigiano ha iniziato da giovanissimo la sua carriera, vincitore di numerosi concorsi d’arte contemporanea e ha esposto in gallerie e musei di tutta Italia. Profondamente ispirato da discipline come la teologia, la filosofia e l’astrofisica, Vespasiani ha fatto emergere dai suoi studi un’arte suggestivamente simbolica, intrisa di spiritualità, in grado di trasportare il pensiero su intimi piani contemplativi.
Spesso ispirato anche dagli elementi della natura, l’artista, nel suo ultimo progetto Navi degli Astri, suggerisce un legame mistico fra il mare ed il cosmo. Vespasiani esplora per noi il mito dell’uomo in costante viaggio nell’ignoto, alla scoperta dei vibranti misteri dell’universo e di se stesso. Direttamente di fronte allo spettatore, navi leggere e luminose, con impercettibile delicato movimento, solcano oceani di spazio infinito regalandoci visioni oniriche di ampissimo respiro.
La dimensione astrale nella pittura di Vespasiani è un terreno inesplorato in cui il subconscio è libero da vincoli terreni; lo sguardo si stordisce di fronte a galassie sterminate, composte da suggestive distese stellate. Un pellegrinaggio mentale, quello che ci regala Mario Vespasiani, attraverso il quale le barriere del reale vengono abbattute da sublimi visioni senza tempo.
L’abbiamo intervistato per conoscere meglio il suo pensiero, la sua arte e questo nuovo progetto Navi degli Astri.
Salve Mario, quale è stato l’incipit che ha reso l’arte fondamentale nella tua vita?
L’arte è un linguaggio, è una forma di comunicazione estrema, perché, attraverso ogni opera l’artista tenta di racchiudere in una sola immagine un pensiero ampio e spesso complesso. Dunque bisogna aver chiaro ciò che si vuol dire e possedere una vasta conoscenza, per rivolgersi a tutti (quelli che sono attenti) usando pochi elementi ma essenziali, (un po’ il rovescio di quello che è oggi l’arte contemporanea, fatta di tante chiacchiere ed altrettanta confusione). L’incipit che mi chiedi sta nei due termini con cui definisco la vita: bellezza e decadenza. Bellezza perché tutto ciò che ci circonda ci supera, ci attrae e ci commuove. Decadenza perché tutto necessariamente finirà. Allora creo, per fermare un istante in più quello che mi circonda, nei miei occhi e nel mio animo. Tuttavia nella decadenza non c’è mai disperazione, perché la componente spirituale, l’energia che abbiamo immesso, le nostre intenzioni, continuano oltre la materia stessa.
Quali sono i punti di riferimento artistici e culturali da cui ti senti maggiormente ispirato?
I miei punti di riferimento si colgono nella sapienza occidentale e orientale, provengono dai grandi maestri che ci hanno aperto strade che siamo chiamati a percorrere e continuare. Ogni uomo che nasce deve decifrare un codice, ben sapendo che soltanto l’estetica può alimentare l’etica. E dal momento che ognuno di noi ha dentro di sé quella stessa bellezza che gli artisti nei secoli ci hanno mostrato, deve decidere rapidamente chi vuole essere. Vero o copia. Per essere ispirato devono risiedere in me due condizioni fondamentali: una sana inquietudine e la pace del cuore. A quel punto tutto ciò che osservo, tutti coloro che incontro possono diventare stimoli creativi.
Quanto influiscono le tue origini e le persone a te care nella tua arte?
Le origini sono quelle di un abitante dell’universo, del pianeta terra e poi della costa adriatica che guarda ad Oriente. Fondamentali per il mio lavoro sono stati gli insegnamenti morali appresi fin da piccolo, come l’affetto ricevuto, la certezza che non c’è nulla da temere se si conserva uno spirito puro. Forse anche per questo ho preferito continuare a vivere a Ripatransone nel Piceno, mio paese d’origine dal panorama mozzafiato, per non essere condizionato troppo da una mentalità globalista e materialista, che sta trasformando molti artisti in appiattiti cercatori di successo. Le persone care, la natura e l’arte mi circondano, mantengono concentrata la mia attenzione su quello che devo trasmettere e testimoniare. Siamo fatti per distinguerci, non per fare gli esclusivi, non si tratta di competere sugli altri o di dominarli ma di allargare i nostri orizzonti: la controfigura del potere è l’essere.
Quali tecniche ti consentono maggiore espressività?
Principalmente mi esprimo attraverso la pittura ad olio, perché mi consente di lavorare con pennellate decise, “calde”, che si fondono direttamente sulla tela, mescolandosi col colore sottostante, “trasportando” anche un po’ di quello vicino, strato per strato. L’aspetto seducente della pittura è che ti attrae a sé, al punto che pur se hai chiaro in mente il soggetto, come procedi lo perdi, lo cerchi, lo trovi e poi lo riconosci.
Per te arriva prima il segno o il colore? Come si evolve un tuo quadro?
Nasce tutto dal colore, da macchie casuali, da forme che cerco di svelare, di portare alla luce. Il disegno traccia, nella nettezza della linea, una separazione che per me è troppo drastica, è come un confine spinato da cui guardarsi. Quello dato dal pennello è invece sfrangiato, colante, sinuoso. Da giovane uomo penso sia l’aspetto femminile del lavoro, seducente, erotico ed eretico e il pensiero oltrepassa quel confine, perché con nonchalance tale passione si scioglie.
In che modo secondo te l’arte è in grado di proiettare l’uomo oltre il reale?
Serve innanzitutto un’integrità dell’agire, una fiducia nei mezzi e un’abnegazione costante. Perché l’uomo diviso è abitato da idoli, quindi confuso, senza una visione chiara. Bisogna avere un respiro planetario ma senza dimenticare le proprie tradizioni, perché attraverso ciò che ci è stato tramandato c’è un insegnamento che vale sempre, anche se oggi con tutti questi sconvolgimenti facciamo fatica a riconoscerlo. L’arte non ci porta oltre il reale – non fa una magia – ma ci mette in comunicazione con gli archetipi, con le nostre origini più lontane, a cui possiamo attingere costantemente. Ciò che invece può proiettarci oltre il reale sta nell’intensità della ricerca e nell’energia vitale, massima nella gioventù, la quale ci chiede di “supervivere”, sperimentare, traboccare, perché nel dono di sé c’è quella pienezza del divino, che va oltre l’umano.
La tua arte è profondamente spirituale: fra gli elementi della natura esiste il principio di tutte le cose oppure l’origine della vita trascende la realtà?
Non posso non essere una persona spirituale, perché quel mondo è eterno e retto da leggi matematiche precise. Se uno ci crede o lo percepisce, non spende un solo giorno in altre direzione, non farà mai un torto ad alcuno, non inquinerà l’ambiente. L’artista è l’uomo nuovo, è colui che si prende carico della complessità del tempo presente e sviluppa un’idea semplice. Invece oggi il denaro pervade ogni aspetto dell’esistenza, il lavoro perde così la sua vocazione e le persone sacrificano il proprio talento, in una spirale che incatena persino tanti artisti.
In che modo l’arte può far riflettere sulla possibilità che esistano altre forme di vita o altre dimensioni da quella terrestre?
In un universo infinito le considerazioni che ci siano altre forme di vita evidenziano una probabilità concreta, ma vorrei riflettere su un altro fatto: tutte le cose sono in movimento, tutte le cose vibrano. Gli oggetti solidi sono formati da atomi, i quali sono costituiti da particelle in movimento ed il fatto che ci appaiano compatti dipende dalle nostre capacità di percezione. Se ogni cosa possiede una sua frequenza vibratoria, che è inversamente proporzionale alla densità della materia che la compone, possiamo comprendere che anche sul piano emotivo, ogni vibrazione ne attira una analoga. E per me questo significa che è possibile orientare il nostro mondo in base a quello che pensiamo, innalzando o meno le nostre vibrazioni.
Cosa ti piacerebbe che il pubblico provasse o comprendesse di fronte alle opere della mostra Navi degli Astri?
L’arte deve tornare a toccare le emozioni fondamentali. Deve parlare alla gente e non solo agli addetti ai lavori, che giocano ancora a farsi i complimenti a vicenda, convinti di essere un’élite. Le opere devono uscire dalla galleria o dal museo e in questo caso scelgono un spazio caratteristico, nel quale il paesaggio, la storia e il silenzio richiamano le stesse forze che le hanno create. Non deve esserci nessuna differenza tra l’arte e la vita e vorrei che tale emozione venisse percepita anche dai visitatori che si troveranno lì per caso. Le “navi” dipinte sono allora metafore della condizione umana e la fusione del cielo con la terra, in quel blu profondo e un invito a vivere l’opera come uno spettacolo che si apre dentro e avanti a noi, proprio come quel panorama che, al posto del solito muro, fa da parete.
Per concludere, puoi parlarci dei tuoi progetti presenti e futuri?
In questi giorni sto esponendo all’Eso Supernova Planetarium di Monaco di Baviera la serie Empireo e al Premio Cimitile di Napoli le opere del tema Fly Sky and Air; di recente ho ricevuto l’invito a presentare delle sculture inedite nel festival Le Parole della Montagna, in un luogo suggestivo, dove questi lavori che imitano gli alberi secolari in cui il ferro e il legno si intrecciano tra loro, si innalzeranno dal suolo fino a mostrare le radici, la loro parte invisibile, perché: “come in alto così in basso“.
CLAUDIA ONISTO