In pochi sanno che I Think, per i primi due anni di vita, non è stato solo un magazine online ma, rivolgendosi inizialmente al solo territorio pugliese, aveva anche la sua colorata rivista mensile, stampata in formato A5, composta prima da 24 poi da 32 pagine colorate e plastificate, che veniva distribuita nei locali e nelle edicole di tutta la Puglia.
Il numero zero fu pubblicato il 21 giugno 2009 con, al suo interno (esperienza unica per noi, dato che non è stata mai più ripetuta) un allegato fisico davvero straordinario: il cd dell’ep Ten Drops dei barlettani Orient Express (dalle cui ceneri sono nati poi gli A Violet Pine e altri progetti decisamente brillanti).
All’interno di quella primissima ma già ambiziosa prova editoriale c’era anche un’intervista a Raf, mito della musica italiana che con I Think condivide la città natale, ovvero Margherita di Savoia, in provincia di Barletta-Andria-Trani, che per molti è meta turistica d’estate ma che per noi è il punto esatto da cui tutto è cominciato, dove risiedono le nostre solide radici, il classico posto in cui, nel bene e nel male, ci si conosce tutti d’inverno e poi si diventa una specie di “proiezione ortogonale” di una metropoli d’estate.
Com’era questa soleggiata cittadina quando ci viveva Raf? Come è nato e come si è formato, all’interno di essa, il grande autore che oggi tutti conosciamo? Questo e molto altro è stato al centro della chiacchierata che Doriana Tozzi ha fatto con il cantautore all’epoca e che oggi vi riproponiamo qui, per la prima volta in digitale.
Riportiamo qui il testo (breve, per esigenze di stampa) pubblicato in quel rarissimo numero zero della nostra rivista cartacea, uscito il 21 giugno 2009:
Non potevamo non inaugurare proprio con Raffele Riefoli, ovvero Raf, la pagina dedicata alle interviste ai grandi artisti italiani che pubblicheremo in ogni numero della nostra rivista. Cominciamo proprio con Raf perché il noto cantautore di Self Control e molti altri successi è nato proprio nella nostra Margherita di Savoia, luogo di gestazione anche di I Think, e perché sin dagli anni ’80, attraversando generi vari e disparati, Raf si è sempre distinto per una sensibilità fuori dal comune, per una sublime poetica dei testi e per una ritmica coinvolgente, il tutto condito con quel suo timbro vocale da eterno ragazzo che ancora oggi, con il successo di Metamorfosi, dodicesimo album sulla lunga distanza, dimostra di essere sempre fresco e di non aver scalfito neanche un po’ il suo appeal.
Ciao Raffaele, di interviste ne fai tante e su riviste ben più note e importanti della nostra, che è ancora neonata. Per questo motivo sarebbe bello sfruttare questa chiacchierata per parlare di cose che magari le altre riviste ti chiedono meno, ricordando piuttosto le tue origini e il tuo trascorso musicale, che hai vissuto proprio qui a Margherita. Vuoi raccontarci come Raffaele Riefoli è diventato “Raf”?
Be’, sono felice di potervene parlare. In realtà ho iniziato a far musica prestissimo, sin da bambino, in un contesto in cui non esistevano le playstation e tutta questa tecnologia alienante, di cui oggi si fa un uso a mio avviso veramente spropositato perché limita il contatto reale con il prossimo e fa vivere di una realtà tutta virtuale e falsa.
All’epoca Margherita di Savoia era un paesino che offriva pochissimo e gli svaghi per i ragazzini erano davvero ridotti quasi a zero. Ascoltare un disco in vinile in quegli anni era quasi un rito: il vinile aveva un’importanza sicuramente ben più grande di quella che si dà oggi ai cd, forse anche per questa ragione ancora conserva un certo fascino, benché la sua utilità di diffusione musicale sia stata man mano sostituita da altri supporti.
La musica in quel periodo era comunque uno dei pochi modi per poter stare insieme, per poter socializzare ed intrattenersi con divertimenti costruttivi. Lo sottolineo perché anche il rapporto stesso che si aveva in quegli anni con quest’arte e quindi attraverso essa con gli altri ragazzi, era vissuto in modo molto diverso rispetto a quanto non avviene oggi.
Tra quei vinili di cui parlavi ce n’è stato qualcuno in particolare che ti ha fatto decidere di intraprendere questa carriera?
Più che un disco c’è stato un film. La folgorazione infatti l’ho avuta quando ho visto, all’epoca ancora in bianco e nero, A Hard Day’s Night dei Beatles.
Forse come film non era un granché, nel senso che cinematograficamente magari non era di grande valore, ma ricordo benissimo che da ragazzino, vedendo quel genere di pellicole fortemente ispirate alla musica e ai musicisti, ho iniziato a pensare di voler essere come quei personaggi e fare quello che facevano loro. Così ho iniziato a cercare altri ragazzi che con me condividevano questa forte passione per la musica, e da lì sono nati alcuni gruppi con cui, come si suol dire, mi sono “fatto le ossa”.
Tutto nacque dai Beatles, insomma…
I Beatles sono stati praticamente degli extraterrestri nel mondo della musica. Non si era mai visto nulla di simile. Dopo di loro c’è stato poco altro nel rock, tanto che non ho paura di affermare che oggi questo genere di musica sia in realtà praticamente morto, nel senso che si ripetono ormai dei cliché nati almeno vent’anni fa e difficilmente si riesce ad inventare ancora qualcosa di veramente nuovo.
Potrei anche fare altri nomi di musicisti che ho sempre amato, come i Pink Floyd, David Bowie, Lou Reed, Jimi Hendrix… ma capofila su tutti per me restano sempre i Beatles.
Un tempo ti chiedevi “Cosa resterà di questi anni ’80“… Be’, dopo circa trent’anni cosa è rimasto secondo te di quell’epoca?
Gli anni ’80 sono stati un decennio importantissimo per me: sono diventato un personaggio conosciuto nella scena musicale e quindi in qualche modo è cambiata la mia vita. Eppure negli anni ’80, quando i discografici, vedendo che con la band avevamo un seguito tra i ragazzi, ci facevano proposte di contratto, noi li cacciavamo via! Non ci interessava andare in televisione o fare promozione… Volevamo semplicemente fare la nostra musica. Oggi invece essere “famosi” sembra esser diventata la cosa più importante, anche a discapito del messaggio che veramente si ha da dire.
LA REDAZIONE