Roberto Drovandi è un polistrumentista che da più di trent’anni circola sui palchi più importanti e firma brani di successo, ma è conosciuto soprattutto come bassista degli Stadio. Di recente ha deciso di mostrare al pubblico anche in prima persona la sua anima musicale fino ad ora rimasta più nascosta, recuperando soprattutto le sue radici funk e black e dando vita ad alcuni singoli (per adesso Denso e Shake Up) che annunciano un album in uscita nei prossimi mesi.
Curiosi di conoscerne meglio tutti i risvolti l’abbiamo intervistato e abbiamo scoperto cose “che voi umani non potete neanche immaginare”. Sapevate ad esempio che esiste una tecnologia che permette ai non vedenti di “vedere” i videoclip su youtube? Di questo e molto altro ci facciamo raccontare direttamente da Roberto in questa chiacchierata che vi invitiamo a leggere fino alla fine e tutta d’un fiato.
Caro Roberto, nonostante la tua lunga carriera (iniziata quando eri giovanissimo e già affiancavi grandi artisti come Paolo Conte, Eugenio Finardi, Lucio Dalla, Bruno Lauzi e molti altri con i quali collabori ancora oggi), soltanto nel 2014 hai deciso di cominciare a pubblicare i tuoi singoli da solista. Qual è stata la molla che ti ha fatto decidere che era giunto il momento di dedicarti ad un progetto musicale tutto tuo?
In tutti questi anni, passati a suonare e studiare, ho sempre scritto della musica e, pensa, conservo ancora dei demo che risalgono al 1979/80! Intendiamoci, sono inascoltabili! Tutto questo succedeva e succede non perché avessi l’esigenza folle di fare il solista, ma perché la sentivo come una necessità fisiologica; sento il bisogno di buttare giù delle idee come fossero dei pensieri.
Quando mi siedo al piano, mentre imbraccio la chitarra o sono con il basso addosso girovago tra le note e mi tornano in mente alcuni momenti della mia infanzia, alcuni brani mi echeggiano ancora nelle orecchie e poi mi scatta la molla di fare qualcosa di mio senza pensarci troppo su, e così ho accumulato una marea di brani e idee anche di diversi generi musicali.
Ho scritto diverse cose in questi anni, alcune hanno anche avuto degli ottimi risultati come ad esempio Prima di partire per un lungo viaggio (cantata da Irene Grandi e scritta insieme a Gaetano Curreri e con il testo poetico di Vasco Rossi) e ho realizzato arrangiamenti e produzioni varie, sia all’interno degli Stadio che con altri artisti. Con Eugenio Finardi ho scritto il brano Paura d’amare, nato da una session in un soundcheck nel tour Occhi. Ho scritto temi per chitarra come Avoid Yawed Flight e One (Flawless Beauty) per il disco solista di Roberto Priori, Lead dei Danger Zone, ho scritto archi che giocano il ruolo da protagonista e non solo per il mio strumento principale, vedi il brano Denso.
Amo un sacco la tromba e i fiati (o brass in generale) e sto scrivendo dei temi a riguardo.
Scrivo insomma per liberarmi e, dopo circa trentacinque anni di musica e raggiunta la maggiore età di cinquant’anni compiuti, ho sentito il bisogno di lasciare qualcosa che mi rappresentasse come musicista e compositore.
Il “solista” non mi interessa: faccio parte di una band nota e già questo soddisfa il mio ego. Il bel figo non me lo sento certamente addosso, ma il bisogno, quasi fisiologico, di fare musica, quello assolutamente sì!
Parlavi di Denso, che è un brano che circola già dagli inizi del nuovo millennio, inciso per festeggiare i quarant’anni del marchio Fender in Italia. Ci sono sostanziali rivisitazioni per la versione che possiamo ascoltare e guardare nel tuo recente videoclip (qui: https://www.youtube.com/watch?v=TLe9K9O7PzI&feature=youtu.be) oppure sei rimasto fedele alla prima versione?
Esatto, è un brano che è stato pubblicato nel 2001 e credo sia ormai fuori catalogo. Ho voluto presentare il mio primo progetto solista con questo singolo cambiando il bpm (velocizzando il ritmo) perché sentivo la necessità di dare più spinta al groove di basso, ed ho inserito una batteria vera con il mio amico e grande batterista italiano Adriano Molinari (che suona con Zucchero) e Fabrizio Foschini (degli Stadio) all’hammond e tastiere. Ho ristrutturato il brano in modo che fosse più corto, ci sono quattro versioni: l’originale è solo una stampa per il quarantesimo anniversario, poi c’è la versione remaster solo digitale per iTunes tratta dall’originale ma leggermente velocizzata e con un B-side senza basso (che sarebbe quindi una terza versione), ed infine c’è Denso “edit version” 3.30 con la quale ho anche realizzato il mio primo video ufficiale.
Shake up invece è un brano più recente (qui il video: https://www.youtube.com/watch?v=KYACe5IM1OM). C’è un motivo particolare per cui hai scelto l’inglese, non solo per il titolo ma anche per la voce rap che si mescola quasi come strumento tra gli altri strumenti del brano?
No, non c’è un motivo deciso a tavolino. Questo brano, scritto insieme a Raniero Gaspari produttore e musicista di grande talento, mi sembrava un pezzo veramente unico come secondo singolo ed ha quell’energia che mi fa saltare dalla sedia mentre il rappato al femminile di Francesca Taverni gli dà quel sapore di internazionale che non guasta; ed aggiungo anche che, a mio avviso, il rap rappresenta il cantautorato di oggi.
Mi incuriosisce molto comunque la genesi di questi due brani e soprattutto il significato che hanno per te, perché da autore prolifico quale sei (come dicevi, non solo per gli Stadio ma anche per tanti altri artisti noti) credo che la scelta dei pezzi che avrebbero dovuto rappresentarti in prima persona sia stata abbastanza accurata. Come sono nati quindi Denso e Shake up e cosa rappresentano per te?
Guarda, Denso è un’idea che nasce nel 1998, alla fine di un periodo davvero complesso per me, e che ha segnato una vera svolta della mia vita… Ho scritto il pezzo dopo una mia rinascita interiore, un’uscita dal più cupo dei tunnel grazie anche all’avvicinamento ad una filosofia di vita come il buddismo, e questa svolta mi ha portato a scrivere questa canzone che poi, come spesso accade, è finita nel cassetto per essere tirata fuori solo in seguito.
Shake Up, altresì, rappresenta il cambiamento, la presa di coscienza di ciò che sono, di come sono, e di come tutto questo significhi il mettersi a nudo, con la propria musica, nei confronti del mondo…
Un modo di proporsi agli altri un po’ senza veli, no?
Direi decisamente di sì! Questi primi due brani del tuo percorso solista comunque sono complessivamente piuttosto diversi da quello che componi e suoni con gli Stadio (non solo per il fatto che sono fondamentalmente strumentali ma anche per il genere che privilegia funk ed elettronica): volevi dunque discostarti da quanto produci con la tua band oppure quando potremo ascoltare l’intero disco troveremo più punti in comune?
Partiamo dal presupposto che il funk e anche il rock mi appartengono in maniera molto viscerale, visto che il mio background musicale affonda le sue radici in quel periodo, a mio parere quasi magico, che sono gli anni ‘70. Per intenderci, in quegli anni, musicalmente parlando, si è vissuto il momento più alto della dance di un certo tipo dove il basso, guarda caso, aveva ruoli centrali nelle stesure di quasi tutti i pezzi.
L’introduzione dell’elettronica è stato uno step successivo e ci sono arrivato grazie a Raniero, già citato in precedenza, che mi ha fatto vedere come l’introduzione di synth e tastiere avrebbe potuto arricchire il mio progetto dando un ulteriore colore alle mie idee.
Detto questo, però, non rinnego nemmeno il pop visto che, ancora oggi, resta il mio core business musicale e che va a creare un mix con il mio vissuto più black, che non potrà mai mancare nel mio primo lavoro da solista tanto che, e questa è un’anticipazione, sto seriamente valutando l’idea di inserire anche una canzone in italiano in questo mio album.
Un’altra particolarità dei tuoi video è l’etichetta “V4B” (Video for blind), che mostra anche una tua sensibilità nei confronti dei non vedenti o ipovedenti. Vuoi parlarcene?
Questa particolarità sui miei video nasce da un incontro che ho fatto con colui che oggi è il mio addetto stampa, Vainer Broccoli, che è lui stesso non vedente. Mi ha sempre seguito come fan ai concerti degli Stadio e, nel tempo, si è instaurata anche un’amicizia che è poi sfociata in una collaborazione professionale. Così una sera, a cena, tra una tagliatella ed una crescentina fritta, mi ha raccontato che esistono dei metodi molto semplici per rendere fruibile a chi non vede quelli che sono i contenuti video su youtube. Mi ha parlato di V4B (Video for blind) un metodo inventato da Vincenzo Rubano (www.titengodocchio.it), e mi ha fatto capire come con pochissimo impegno si possa rendere accessibile ciò che nell’immaginario collettivo si pensa off limits per un cieco.
Mi piace proprio l’idea di raccontare in prima persona quelle che sono le storie e le sceneggiature dei videoclip dei quali sono l’autore, assieme a mia moglie Elena, e farlo per rendere ancora più fruibili i miei lavori mi galvanizza parecchio!
All’attività di performer e di compositore da un po’ di tempo affianchi inoltre quella di produttore e discografico, con l’etichetta Twins104 Records, da te fondata. Cosa pensi quindi della situazione discografica attuale, anche in base alla tua esperienza di artista che si muove all’interno del circuito sin dagli anni ‘80/’90? La situazione è sempre critica, come sentiamo spesso ripetere da più di un decennio, oppure le cose stanno migliorando?
Questa domanda andrebbe rivolta a tutti coloro i quali si muovono nell’ambito del mondo della discografia e che fanno numeri importanti, ma per quanto concerne la mia esperienza, a dire il vero ancora molto minimale, legata alla mia realtà, posso sostenere che il peggioramento è in aumento e che tale situazione si è iniziata a registrare con l’avvento di questa crisi che ci attanaglia da ormai troppo tempo. Il mercato della musica, che piaccia oppure no, sta anche subendo una trasformazione nel modo che le persone hanno di fruire del prodotto musicale: oggi la differenza la fa lo streaming e le realtà in stile Spotify o Apple Music ci insegnano come, anche con piccole somme, sia preferibile, da parte dell’utente finale poter avere tutto sotto mano, magari anche in mobilità, poi, se proprio ci si trova di fronte ad un prodotto che piace, magari premiare l’artista con l’acquisto/download del disco stesso.
Questa, a mio modesto avviso, è l’unica maniera per chi fa musica, di sopravvivere perché non dimentichiamolo, il musicista che vive della propria arte non può sopravvivere se non vende i suoi dischi e il verbo “sopravvivere” è più che mai indicato ai giorni nostri…
In buona sostanza, il mercato della musica di oggi è in continua evoluzione ed ormai non è più paragonabile a quello di dieci anni fa, quando basava il suo vivere esclusivamente sui cd venduti, e chi rimane ancorato a questa mentalità non può che incontrare sempre più difficoltà.
Dal momento che ci piace sempre scoprire nuovi talenti e soprattutto condividiamo questo tuo discorso e quindi ci fa piacere poter supportare al meglio gli artisti ancora poco noti, vuoi segnalarci qualche nome degno di nota che stai producendo in questo periodo con la tua etichetta?
Ad oggi la Twins 104 Records sta per produrre una band emergente molto interessante, ma per ora mi limito a questa anticipazione visto che si stanno ancora definendo i dettagli più basilari, mentre con la chitarrista classica Costanza Savarese (già con noi con i Globe Duo assieme al flautista Andrea Oliva), si sta pensando ad un nuovo lavoro da solista.
Il percussionista Paolo Caruso sta facendo concerti portando in giro il suo primo album di debutto, Nessuno, ed anche come maestro per il gruppo Afroeira suonando il loro ultimo disco, Tambores. Insomma si lavora per far conoscere nuove realtà musicali.
I dettagli li potete trovare sul sito dell’etichetta (www.twins104.eu).
Ma parliamo un po’ anche della tua attività con gli Stadio. Sei il bassista ufficiale della band sin dal 1991 e di belle esperienze e soddisfazioni in tutti questi anni ne avete avute molte: la vittoria al Festival di Sanremo dello scorso febbraio ritieni che possa essere tra le più importanti? Come l’avete vissuta?
Sicuramente questa vittoria è stata importante per la band, soprattutto alla luce dei risultati precedenti che non ci hanno certo visto brillare (parliamo di un paio di ultimi posti), ed è stata una sorta di consacrazione nel Gotha della musica italiana. Bada bene, ciò non ha certo cambiato il nostro modo di essere e, per quello che mi concerne, posso dire che proprio dopo il festival, l’impegno nei confronti della gente che ti ha premiato con la propria preferenza ti porta ad avere quell’intensità in più, quella riconoscenza che deve esserci nei confronti di chi ti segue. E poi, credimi, non abbiamo più l’età per montarci la testa per cose di questo tipo.
Per congedarci ci farebbe piacere sapere se sai già la data d’uscita (o almeno il periodo) del tuo disco, in modo tale da fare il famoso “nodo al fazzoletto” e risentirci dopo la sua pubblicazione per continuare la piacevole chiacchierata.
Mi sono posto come obiettivo la fine di questo 2016, e mi piacerebbe stampare anche una edizione in vinile per ricreare quelle sonorità che soltanto i dischi concepiti per questo tipo di supporto possono ricreare.
Grazie di cuore per il tempo che ci hai dedicato e alla prossima.
Grazie a te Doriana, e a tutti voi per l’opportunità che rappresenta il poter approfondire così un lavoro come quello che faccio io da così tanto tempo!
DORIANA TOZZI