Il Pilastro della Terra di questo mese è il Saggio Sulla Critica di Alexander Pope, nato in un’Inghilterra nobile e mondana, che usciva da un secolo, il ‘600, che l’aveva vista protagonista prima, e vincitrice poi, di un conflitto con un’altra grande potenza europea, la Spagna. Un conflitto simbolo di quello che è lo scontro tra due mentalità differenti: una snella e dinamica, l’altra chiusa e goffa. Un’Inghilterra che in pieno accolse i precetti di quel vasto movimento culturale oggi chiamato neoclassicismo, che si compone di elementi ben standardizzati, quali la ricercatezza e l’eleganza formale, la precisione e la linearità dell’espressione e la semplicità, che viene osannata come sublime forma di perfezione.
Il suo lavoro in questo contesto si colloca tra le opere di critica. Non una critica convenzionale però: una critica mossa ai critici stessi da parte dei poeti. Uno scritto simbolico di quella che era (e che forse è ancora oggi) la visione che l’artista ha di chi lo giudica e di chi cerca di interpretare i tratti inspiegabili della sua ispirazione.
Il critico risponde a dei canoni artificiali nel suo emettere voti, si è costruito un dizionario semantico dell’arte e lo applica come se fosse l’unico strumento in grado di funzionare nell’attività di comprensione. Pope, a cui la vena satirica non mancava di certo, ammette che ci vogliono delle regole per svolgere quella delicata professione, non vuole eliminare una categoria: egli cerca solo di mettere in discussione quelle preesistenti, lanciando un messaggio di forte impulso al rinnovamento.
È interessante oggi osservare come i critici dell’epoca non apprezzarono questo sforzo, anzi essi giudicarono l’opera piena di contraddizioni e di difetti formali.
Noi moderni ancora riflettiamo su argomenti che ampiamente sono stati sviscerati da menti eccelse in passato. Oggi il problema del rapporto arte-giudizio della stessa sembra attanagliare il mondo dell’espressione, ma probabilmente le diatribe tra artisti e critica hanno un’antica tradizione.
VITO PUGLIESE