Il miglior modo per approcciarsi al lavoro discografico che proviamo a raccontare in queste righe è indubbiamente ad occhi chiusi. Ad occhi chiusi, infatti, le sensazioni si amplificano ed è più semplice e naturale tradurre in immagini ciò che ci arriva dall’esterno. Ad occhi chiusi è più facile guardare, desiderare, meditare, ricongiungersi con se stessi, proiettare, sentirsi liberi, viaggiare ed arrivare ovunque senza necessità di muoversi, come questo disco merita di esser fruito. Stiamo parlando di Piano Verticale, ultimo lavoro di Antonio Fresa, pianista, compositore, arrangiatore, produttore e autore di musica per il cinema (L’Arte Della Felicità, Gatta Cenerentola, Goodbye Marilyn etc), album che simbolicamente è incipit, origine, inizio, partenza di un percorso, di un viaggio, o meglio del proprio viaggio.
Piano Verticale è infatti la prima parte di un lavoro più grande e complesso, una trilogia. È il primissimo pianoforte che dà inizio al percorso di ogni pianista, il primo compagno di studi, il primo mezzo con cui inizia la ricerca del proprio suono personale. È il titolo, è il soggetto della foto di copertina (di Carlo Arace), è lo strumento principale utilizzato nel disco. È soprattutto partenza per il viaggio mai uguale a se stesso che l’ascoltatore si trova a compiere fuori e dentro di sé.
Piano Verticale è l’immagine nitida del proprio dentro in Inner Life, l’analisi del rapporto con se stessi, la riflessione su quello che si è stati, su quello che si è, su quello che si vorrebbe essere. È il vibrafono di Marco Pacassoni, il violoncello di Stefano Jorio, il violino di Armand Priftuli.
È il bianco, è il blu. È il rumore delle rotaie, è il verde che si mescola al giallo della campagna vista da un treno in corsa. È il pavimento di nuvole visto dall’oblò di un aereo. È pioggia battente. È sole che brucia. È notte. È giorno. È rallentare, accelerare, fermarsi.
È il proiettarsi verso il futuro, sperare, immaginare quello che avverrà, l’affidare i sogni alle stelle di Tra Sette Anni. È la delicatezza di Cinque (scritto per il documentario 5 Pezzi Semplici di Stefano Incerti) è un bimbo davanti a una finestra, la leggerezza di un giro di valzer. È l’insieme degli Haiku di Lorenzo Marone, uno per ogni tappa, come puntuali appunti sul diario di bordo. È Ispirazione con Luca Aquino, è il buio, è La Perdita (scritto per L’Antico Presente di Lucio Fiorentino). È il miracolo e la bellezza della fioritura dei ciliegi di Hanami (brano scritto con Luigi Scialdone, così come El Campo). È la viola di Pino Navelli, il bandoneon e i flauti di Ninon Valder, il sax soprano di Raffaele Casarano, il clarinetto di Peppe Plaitano e The Writing Room String Ensemble (in Mio Padre scritto per Core &Sang di Lucio Fiorentino). È registrazione e missaggio di Andrea Cutillo. È foto ritratto di Andrea Savoia. È lasciarsi andare alle emozioni per ritrovare se stessi.
È tempo.
Chiudete gli occhi, aprite il cuore, inizia il viaggio.
Il sito di Antonio Fresa: www.antoniofresa.net
Il particolare video-collage di Tra sette anni: https://www.youtube.com/watch?v=lxFzPf7-cms
CINZIA DASCOLI