Edito da Kurumuny, Ilva Football Club, di Fulvio Colucci e Lorenzo D’Alò, affronta la questione cardine della città di Taranto, ovvero la presenza dell’impianto siderurgico e il gravissimo inquinamento ambientale da esso provocato.
Ex calciatore, oggi giornalista sportivo, il narratore parla di una squadra di calcio del quartiere Tamburi, quel quartiere martoriato e ancora martire di quella fabbrica costruita per dare lavoro e quindi forse per dare vita ma che invece ha seminato morte.
Mille ricordi si affacciano tra le pagine, quanti calciatori di una squadra potenzialmente vincente sono caduti per colpa delle malattie dovute all’inquinamento: morti improvvise per il male cattivo e quella polverina strana che sporca ogni cosa, persino le tombe del cimitero vicino al rione.
Al contrario di quello che si può pensare, però, il libro non giudica né accusa ma piuttosto descrive, racconta. Il calcio dei poveri, la speranza disattesa di una vita diversa mentre dall’alto il mostro di acciaio incombe e, per quel poco che dà, molto, anzi troppo, toglie.
Capifamiglia, giovani e anche chi è lontano dalla fabbrica è colpito dall’aria malsana, come novella Silvia di leopardiana memoria, fanciulla che appare e scompare tra due pagine.
Un appello infinito per quella che viene definita la Spoon River dell’Italia del sud.
Dell’Ilva, del caso di Taranto, si è scritto e disquisito tanto toccando le corde dell’opinione pubblica con varie argomentazioni, ma il libro scritto dalla coppia Colucci-D’Alo affronta un aspetto poco noto e inaspettato della questione: quello di una squadra che non c’è perché i suoi campioni sono caduti nel fiore degli anni come i soldati cantati dai war poets, caduti nella guerra della vita.
Qui la scheda del libro: http://www.kurumuny.it/index.php?option=com_oa&view=catalogo&id=399&lang=it
FRANCESCA BARILE