Nessun preambolo, nessun incipit, nessun maggiordomo che apre la porta e ti accompagna all’interno. Il secondo album dei Cowards, pubblicato con la label Bloody Sound, parte deciso, ruvido, violentemente diretto come il suo titolo, God hates cowards. D’altra parte così è la vita: veniamo al mondo sporchi e strillanti, dal grembo materno ci strappano senza spiegarci cosa sta succedendo, che tanto anche se ce lo spiegassero non lo capiremmo lo stesso. E I hate you, il brano apripista di questo lavoro, potrebbe fare benissimo da colonna sonora per un atto tanto estremo e traumatico, col suo inizio talmente fulmineo che sembra riprendere direttamente un discorso lasciato in sospeso. Poi giunge però la seconda canzone, Storm, ed è come se stessimo già imparando a respirare nella tempesta, così cediamo all’ineluttabile, apriamo gli occhi, iniziamo a scorgere una luce tossica che circonda le ombre, percepiamo qualche suono e a quel punto il nostro inconscio se ne rende conto: siamo in ballo nel ballo della vita e non ci resta che ballare.
Con questo album, la band di Recanati – da sempre terra di poesia e disillusione – a sua volta rinasce o forse nasce per la prima volta veramente, visto che del debut album eponimo pubblicato nel 2022 per la Araghost Records è difficile trovare traccia. Quel primo lavoro, necessario omaggio all’ex batterista Peppe Carella, cofondatore della band venuto a mancare nel 2021, ha avuto il merito di porre una fondamentale pietra sul cammino della formazione, oggi composta dagli altri due membri originari, Luca Piccinini e Giulia Tanoni, cui si è aggiunto dietro le pelli Michele Prosperi (già nei Jesus Franco & The Drogas). A giudicare da questi nove brani, infatti, i risorti Cowards hanno trovato la forza di sopravvivere alla burrasca e reagire facendo del dolore, dell’inquietudine e dell’angoscia un fuoco unico, a suo modo sacro, al cui denso fumo i polmoni devono assuefarsi se non vogliono soccombere.
Mai sottaciuta l’eco di Sonic Youth e Nirvana (di questi ultimi giungono vaghi strascichi perfino nei titoli dei brani), i Cowards colgono comunque molte altre sfumature dal sound degli anni 90 e ne fanno una combinazione personale di chiaroscuri che delinea taglienti profili post-punk su nebulosità shoegaze aspre e psichedeliche, trovando in brani come Dystopian city e WTF? i loro momenti più impetuosi. Le chitarre sono sempre incendiarie, il basso è frenetico e sembra volersi far carico dei tormenti dei testi, trovando nella malcelata ansia della batteria un’amica fedele. Oltre alla succitata Storm, pochi sono i momenti in cui il battito cardiaco rallenta, come in About a friend, dove ci si sofferma a ricordare i momenti trascorsi insieme a un amico che non c’è più, e in Scream!, liberatoria conclusione di un disco che ha trovato il coraggio di esorcizzare il passato per aprirsi alla dolceamara incertezza del futuro.
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DORIANA TOZZI