Una personale quanto collettiva visione sul mondo di oggi tra selfie, lavori precari, cicchetti e birrette. Si tratta di Generazione Brucaliffo, l’EP d’esordio della band padovana Joe D. Palma che, con una verve acustica pur non rinunciando a quel pizzico di moderna e imprescindibile elettronica, decide di fare un resoconto ironico e dissacrante, ma estremamente sincero, della generazione che loro definiscono appunto “generazione Brucaliffo”.
Un sound accattivante e di certo incalzante in ritornelli ben costruiti che fanno muovere le natiche su arrangiamenti prevalentemente acustici e testi scanzonati che restituiscono l’istantanea di una sana spensieratezza. I Joe D. Palma raccontano la vita, il susseguirsi di esperienze inevitabili, ma soprattutto raccontano in musica quel sano menefreghismo che ad ogni ventenne sembrerebbe una protesta al mondo esterno, quando in realtà altro non è che la tappa più avventurosa che ogni generazione ha vissuto in modo proprio, contestualizzata nel periodo e nel contesto storico di riferimento. È così che si cerca di mandare a quel paese i guru di questo momento storico, come la TV, Belen, Barbara d’Urso e la mitica bacchetta da selfie…
Così in Chissenefrega su di una melodia acustica, le batterie accompagnano il risentimento verso il secolo del personaggio e della tecnologia: “Che me ne frega della discoteca in centro, che me ne frega dell’Expo, che me ne frega di Barbara d’Urso […] quelli come te non capirò mai, quelli come te non amerò mai […] da sempre ho odiato la vostra stimolante TV e infatti ora non ce l’ho più, resto volentieri senza e cambio frequenza“. Si vuole dare forma a quella eterna generazione senza schemi prefissati, che si strapperebbe a mani nude la camicia e la cravatta che la società richiede come pass d’accesso al mondo. Così anche nella quasi title-track, Brucaliffo, il sentire comune è quello di liberarsi dalle catene dandosi a liberi incontri intimi e a birrette: “Mamma non lavoro più al fast food […] Veronica mi chiama ogni fine settimana, dormiamo pure insieme, a Silvia le va bene“. Parole che preparano al ritornello più scanzonato del disco, nell’inciso “generazione Brucaliffo, chiamateci così“.
La fattura della scrittura è costante e diviene subito una nota distintiva della band in Rimbaud, in cui amicizie con grandi aspirazioni, se non anche personaggi illustri della storia, si accontentano dell’ozio in osterie e social network: “Il mio amico Baudelaire voleva diventare un medico affermato ma alla fine scelse l’ozio delle osterie […] Oscar Wilde voleva diventare uno stilista per vestirsi come cazzo voleva lui“. È la volta dell’unico brano d’amore, Laura. Una canzone che incornicia un amore poco attuale per la verità, forse anche questo sintomo di quella propensione alla fuga dagli schemi, in cui una ragazza di campagna arriva in città e si trova a fare i conti con il caos urbano e con la febbre del sabato sera: “Laura passerà il capodanno da sola dentro un bar. Non ha più amiche né pretendenti […] Ma che ci posso fare io con te, Laura, se mi piaci ma non mi caghi“.
La band multicolor e fresca, nei suoni e nei testi, decide di chiudere la sua prima apparizione discografica, ma non musicale (data la sua passata esperienza live), con una dedica spassionata, ma non smielata, in Irene. È la sorella di Giorgio Cagnin, frontman del gruppo, che ricorda con amore ed estrema sincerità: “Eri accanto a me quando pettinavamo le bambole per poi sgozzarle […] fino a notte fonda studiavi Baudelaire, poi imprecavi contro di me“.
Pagina facebook: https://www.facebook.com/officialjoedpalma/
Video di Rimbaud: https://www.youtube.com/watch?v=ThROHWQQVs0
COSIMO GIUSEPPE PASTORE