Leonida Riva, ex militare con numerose missioni alle spalle, ora è in congedo ed è affetto da disturbo post traumatico da stress, cosa che lo ha portato ad allontanarsi da moglie e figli e a reggersi in piedi solo grazie ad un massiccio utilizzo di psicofarmaci, grazie ai quali riesce a sopravvivere in mezzo ai flashback delle atrocità che ha vissuto e a cui ha assistito. Quando la sua bambina di soli sei anni viene rapita, Leonida, detto La Belva, si ritrova a scendere in campo e a scatenare la sua violenza repressa.
A partire dal suo nome, Leonida, passando per il suo soprannome, La Belva, arrivando al suo aspetto e alle sue movenze, nonché al suo abbigliamento (con un giubbotto che evidentemente richiama quello indossato da Ryan Gosling in Drive, solo che al posto del serpente qui abbiamo un orso), al suo carattere laconico e tenebroso e alle sua abilità acquisite sul campo, il protagonista interpretato magneticamente e sorprendentemente da Fabrizio Gifuni in un ruolo inedito, ha già tutte le carte in regola per diventare iconico.
A metà tra il Frank Castle della serie Marvel The Punisher e il Liam Neeson degli action che ormai lo vedono sempre più impegnato in missioni simili a quella raccontata in questo film, il nostro Leonida deve fare i conti col suo passato per riappacificarsi col suo presente, facendosi al centro di una violenza inaudita, regalandoci momenti fortemente adrenalinici, tra rincorse in auto e addirittura a piedi, sparatorie, lotte corpo a corpo ottimamente coreografate, fughe rocambolesche e tutto l’armamentario da tipico action movie internazionale che si rispetti.
Caratterizzato da un’ambientazione notturna in una metropoli che non vuole essere identificata, contrassegnato dai tipici cliché del genere volutamente ricalcati (il veterano di guerra che si ritrova a tornare in campo suo malgrado, la famiglia da risanare, il rapporto padre-figlio complicato, la missione di salvataggio di una persona cara, ecc…), La Belva non sfigura accanto ad altri esponenti del filone di appartenenza e, insieme ad altri film della recente produzione nostrana, ci racconta del coraggio di registi, sceneggiatori e produttori, appunto, di puntare su prodotti appartenenti a generi solitamente poco battuti nel nostro Paese, almeno negli ultimi anni.
Una scommessa vinta quella del film diretto da Ludovico di Martino e prodotto da Matteo Rovere con la sua Groenlandia, che pur affossandosi in alcuni momenti nel dramma un po’ troppo spicciolo (anche se bisogna dire che si tratta di pochi e fulminei passaggi) e pur non puntando sulla qualità dei dialoghi (saggiamente e scientemente ridotti all’osso, soprattutto quando abbiamo a che fare col silenzioso, indistruttibile, incazzatissimo e determinato protagonista), ci regala un’occasione di notevole intrattenimento, oltre che un personaggio che buca lo schermo e conquista al primo sguardo.
Un po’ poco per gridare al miracolo, ovviamente, ma quanto basta per ritenersi pienamente soddisfatti da un’opera sicuramente derivativa, ma fortemente in grado di farci riappassionare alla filmografia di genere italiana.
Trailer del film:
ALESSANDRA CAVISI