Nuovo nome e progetto per Paolo Forlì a.k.a. Paolo For Lee, di ritorno sulle scene con questi dodici pezzi grondanti di folk oscuro e minimalista. Attivo dagli anni ’80, il nostro folksinger costruisce questo Minneapolis con un armamentario basico ma discretamente micidiale. Poca strumentazione, spesso solo chitarra o pianoforte, registrazione e attitudine lo-fi, che dà un bel taglio marcio al tutto, e soprattutto una solida conoscenza dei classici del disagio in chiave folk, da Tom Waits o Leonard Cohen meno in grazia di Dio, passando per il Nick Cave meno invasato o Bill Callahan che si lascia più andare.
Le atmosfere sono spesso sospese, scarnificate, dipinte in toni color seppia con poche pennellate, oscillando tra un amaro lasciarsi andare e un vago senso di astio e minaccia incombente. Si ascolti ad esempio la quasi maligna In Love And War, piena di tensione e malanimo con qualche effetto a rendere il tutto più sporco, o il Nick Cave ridotto all’osso di The Last Prayer (To Isadore Blumenfeld), e il suo suono desertico, acido, a un passo da un crollo psicotico; o ancora, le iterazioni insonni della chitarra di Ten Times Harsh, che non sfigurerebbero in un album di David Tibet, o la cantilena abbandonata di Bad Creatures I Know.
Quando il nostro l’azzecca, il brivido che corre lungo la schiena è assicurato. Probabilmente l’unico problema che attanaglia Minneapolis è un’eccessiva uniformità e il rischio di monotonia che non viene risolto nonostante si evinca lo sforzo di variare la proposta anche attraverso soluzioni “atipiche” (il beat elettronico di The Perfect Mulder, ad esempio). Ma tutto sommato abbiamo a che fare con un album solido e ben ideato, capace nella maggior parte dei casi di trasmettere a pieno le cupe e desolate immagini del cantautore (a cui si deve voler bene a prescindere anche solo per il medley acustico degli Hüsker Dü in fine scaletta).
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Video di In Love And War: https://www.youtube.com/watch?v=NWgn7O1NlRg
FRANCESCO CAPUTO