La penna bolognese è storicamente tra le più interessanti del panorama italiano, tanto da aver creato una vera e propria “Scuola bolognese” a cui, nel corso degli anni, si sono ispirati molti artisti del Belpaese. Schena, chitarrista bolognese, lo conferma nel suo primo album da solista, mostrandosi solitario nel pop attuale e innovativo nel riportare la mente a quella scuola. Canzoni ad uso interno è una raccolta di undici tracce che condividono l’amore e l’ammirazione per la scrittura cantautorale degli anni 70, guidata da una costante e pacata malinconia che si legge non solo nei versi dei testi dell’artista, ma anche nei suoni. Le corde pizzicate di una chitarra, lo spazio lasciato ai fiati in alcuni brani, concedono di ascoltare l’album in solitudine, sorseggiando del buon vino sulla poltrona di casa.
A sorprendere per delicatezza e inquietudine è Dormi, in cui le note appena accennate di una chitarra tentano di non disturbare una nenia funebre. “Stanco scenderà il sole nel tuo vestito bianco, tu dormirai allora tra le viole […] Ora tutto è compiuto, verrò domani ancora presso il tuo letto desolato e muto ad aspettare l’aurora […] Dormi, la notte è chiara, poi verranno a toglierti domani per posarti nella bara due becchini deformi, la notte è chiara, dormi”. Con un sospiro che intristisce il viso, Dormi segue alle prime tre tracce del lavoro di Schena che, meno pregne di malinconia, delineano i tratti poliedrici della sua verve musicale. La gioviale spensieratezza di Meglio così, traccia apripista, in cui si rivendica un mondo più genuino: “Meglio così, senza l’inglese, I don’t speak, meglio così, vivere bene anche senza internet […] Questi bambini lasciateli giocare, anzi giocate pure voi che vi fa bene”. Recita così il brano che richiama quel gusto gaberiano per le amare verità somministrate a dosi dolci e scanzonate. Un gusto ormai retrò, calcato dalla seconda parte del brano in cui la voce si fa distante e sgranata. A seguire, è la volta di Giugno, brano introdotto da un fiato, che torna ad intermittenza nel pezzo, quasi a voler richiamare il caldo lieve del mese estivo: “Sento la pelle più viva sotto tutti quei ricordi di giugno”. È l’influenza di De Andrè, invece, a farsi sentire in Buchi nella sabbia, non solo nella metrica, ma soprattutto in musica e interpretazione; ma c’è posto anche per la maniera di Battiato in questo album, che ne richiama l’anima in Istinto di sopravvivenza.
Torna la malinconia del genuino, di un mondo che possa ancora stupire lo sguardo umano come quello di un bambino ed è per questo che Scarafaggio è composto come fosse una filastrocca d’altri tempi: “Sarebbe impensabile vivere in un mondo che sappia riconoscere la felicità nelle cose semplici come un fiume o un salice o la linea armonica della ferrovia”. Canta così, con la delicatezza di una carezza, Schena per poi arrendersi: “Per uno come me, uno scarafaggio che sappia ringraziare se lo lasci andare […] Allora dico schiacciami, rompimi le costole se questo ti può dare la felicità”. Torna la malinconia, probabilmente un lutto vissuto durante l’infanzia, come farebbe pensare l’immagine della macchinina stretta dal protagonista, e ricostruito attraverso gli oggetti e gli arredi domestici, scalfiti nella mente. È Un’altra storia, in cui Schena si dedica a versi dolorosi accompagnati da una struggente fisarmonica: “In quella stanza venne sera e fu un silenzio da rapina […] ma poi non c’è più niente, rimane appena un’ombra di te e resta tra gli oggetti, presto si dissolverà, già si confonde in me”.
Prosegue l’approccio scanzonato che riconduce tra i tavoli di un club di anni passati in Non ci penso più a te, in cui il tema dell’inadeguatezza alla “normalità” traghetterà alla fine dell’album: “Sarai poeta a 20 anni, avrai la fame degli anni, ma ti accorgerai presto che questo è un mondo di inganni”. Sembrerebbe una dedica paterna, ma potrebbe anche trattarsi di un’autoanalisi: “Son tutte brave persone, fanno fruttare il mattone, mentre tu con la chitarra suoni una sola canzone […] Se scrivi ancora poesie ti prenderanno per matto”.
“Le stelle ridono di noi che camminiamo sopra i tetti con tutti questi sentimenti” canta Schena in Le stelle ridono di noi, brano introdotto da un fiato in perfetto stile anni 60. “Siamo maldestri, siamo ingombranti. Le stelle ridono di noi che ci affacciamo alle finestre per invocare la fortuna”, immagini che denunciano un’appartenenza diversa da quella borghese e sterile, una fede al sentimento che sia protesta e passione di vivere. A chiudere l’introspettivo Canzoni ad uso interno, è l’arrangiamento di Canzone in una noce, che, pur non tradendo il mood dell’album, aspira ad una composizione più orchestrale, accogliendo un violino che accompagna i versi finali delle strofe e un fiato che ne riempie i vuoti. Un approccio sperimentale rispetto alle precedenti dieci tracce, che potrebbe rivelarsi antifona del prossimo lavoro musicale di Schena che di certo non ha bisogno di insegnanti, ma si tiene stretti i suoi maestri.
Pagina Facebook: https://www.facebook.com/schenasong/
Video di Meglio così: https://www.youtube.com/watch?v=VTkBIegZuMI
COSIMO GIUSEPPE PASTORE