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Thumbnail: uno sguardo su Noirêve

THUMBNAIL1.Chi sei, da dove vieni e che musica proponi.

Noirêve da Trento City, faccio elettronica da posizione orizzontale. Un po’ trip-hop, un po’ ambient, un po’ world… a tratti da scuotere i pugnetti.

2.Il panorama musicale italiano aveva bisogno di te?

Io in realtà vivo tra le Canarie e il Trentino, torno in Italia l’estate per la stagione dei concerti e dei festival. Musicisti ce ne sono molti, non è che ci sia bisogno di me in particolare, ma di solito quando mi contattano è perché gli organizzatori sanno bene che tipo di musica faccio, e hanno chiaro il tipo di serata e il target di riferimento. Ad esempio, alle sagre non suono mai, ma magari all’interno della festa c’è una degustazione di vini o un’esposizione artistica in una location appartata, adatta al mood che creo.

3.Se tu fossi una meta da raggiungere con il “navigatore musicale”, quali coordinate di artisti del passato o del presente dovremmo impostare, come strada da percorrere per arrivare al tuo sound?

Gli artisti che mi hanno segnato non sono artisti a cui assomiglio particolarmente, e normalmente quando mi accostano a qualche nome sono band che non ho mai ascoltato e di cui ho ignorato l’esistenza fino a quel momento. Ad esempio moltissimi mi hanno paragonato ai Dead Can Dance, che non conoscevo.

Comunque, potrei farti i nomi di Shruti Sadolikar, Krakatau, Roberto Musci e i Massive Attack come punti cardinali. Sarebbe divertentissimo se esistesse un algoritmo che date le band di riferimento ti genera un brano, magari anche impostando le percentuali di ciascun artista! noireve1

4.Il brano del tuo repertorio che preferisci e perché questa scelta.

Sicuramente il mio preferito è Pitonatio, dall’omonimo album. La critica lo ha (a mio parere ingiustamente) bypassato, dando più rilievo ad altri brani del disco. Io invece penso che ad oggi Pitonatio sia il mio pezzo più rappresentativo e personale, sia come producer che a livello di identità artistica. Ormai sono passati tre anni da quando l’ho composto, un giorno d’estate, ma per me rimane la composizione più interessante che ho sviluppato: https://youtu.be/YWyEzS87_Wo.

5.Il disco che ti ha cambiato la vita.

Never mind the bollocks dei Sex Pistols.

6.Il tuo live più bello e quello invece peggio organizzato.

Il migliore forse è stato quello dell’anno scorso a Pergine Festival: una piazzetta storica e un allestimento stupendo di Tobia Zambotti a tema foresta urbana. Ma sono sicura che i più belli devono ancora arrivare…

Il 6 luglio suono ad un festival molto figo, il Ledro Land Art, nel bosco vicino all’omonimo lago. E il 10 torno al Pergine Festival, per la prima volta accompagnata da tutte le cantanti con cui collaboro… più che un concerto sarà una festa.

noireve2Il peggio del peggio (ma, guarda, ho dovuto scegliere perché ce ne sono stati diversi al top del flop) è stato un festival in Alto Adige, qualche anno fa. Arrivo, e già mi rendo conto che non è posto adatto alla musica che propongo (sedicenni già collassati nel parcheggio prima ancora dell’inizio, varia musica zarra che giunge da altri palchi); arrivo al mio stage e trovo una consolle da dj. Dell’organizzatore che mi ha contattato non c’è traccia. Arriva un ragazzino e si presenta come stage manager: gli spiego che faccio un live, mi risponde che posso usare quella consolle. Forse è la barriera linguistica… Gli spiego che non posso, perché per il live ho la mia strumentazione da usare. “Eh ma non possiamo togliere la consolle”. Mi portano un tavolo da sagra che mettono davanti alla postazione per dj. Monto, faccio il soundcheck, si sente tutto malissimo e ovattato. Non so cosa abbiano fatto, dato che uscivo solo con due canali e i volumi già bilanciati, comunque dopo 10 minuti in cui gli dicevo che il suono non doveva essere così sono riusciti a capire come far funzionare l’impianto. Sopraggiunge l’ora di cominciare. La cantante non si sente, scopriamo che hanno spento le spie. Cerchiamo di fare in cuffia, con uno sdoppiatore. Sentiamo più la house del palco vicino che noi stesse. Il “fonico” è scomparso; lo cerchiamo con lo sguardo mentre suoniamo, ma scopriamo che la regia è a lato del palco, dietro a dei tendoni, e quindi è impossibile comunicare con il tecnico. Veramente una situazione imbarazzante. Abbiamo finito in qualche modo, siamo passate a riscuotere i nostri free drink e panini e siamo scappate verso casa.

7.Il locale di musica dal vivo secondo te ancora troppo sottovalutato e, al contrario, quello eccessivamente valutato tra quelli dove hai suonato o ascoltato concerti di altri.

Mi piace molto il Sudwerk a Bolzano, invece devo ammettere che quando sono stata al Magnolia non è che mi abbia colpito particolarmente come location.

8.Le tre migliori band emergenti della tua regione.

Qui la definizione di “emergenti” è un po’ tricky, perché ci sono proposte molto valide tipo N.A.N.O., Felix Lalù o Anansi, che però hanno già una bella carriera alle spalle, anche se magari non sono super noti al “grande pubblico”.

Per rimanere su act di più recente formazione, direi Kitchen Machine (Trento/Roma, electo/pop/cantautorato), Stregoni (rap/afro/live impro), Ferbegy (electro/rock).

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9.Come seguirti, contattarti, scambiare pareri con te.

Potete ascoltarmi su Spotify, e su tutte le classiche piattaforme tipo Bandcamp, Apple Music, eccetera. Mi trovate su Facebook, Instagram, e Youtube.

10.La decima domanda, che mancava: “Fatti una domanda e datti una risposta”.

D: Cosa pensi dell’attuale scena musicale in Italia?

R: Il panorama italiano in questo momento mi pare che si stia autoalimentando di un sound ben preciso, e che non esprima particolare necessità di cercare dell’altro. Io devo dire che di questa cosa me ne sono resa conto solo nell’ultimo anno: quando sono tornata in Italia (nel 2013) facendo elettronica avevo molti più spazi di adesso, e credevo fosse puramente una questione di merito. Invece ora mi accorgo che mi sono trovata inconsapevolmente a cavalcare l’onda della moda electro, in un mercato che si è ben presto saturato ed è passato ad altro. Mi rattrista vedere come si punti a sfruttare del tutto un genere, a “battere il chiodo finché è caldo”, per ricavarne il massimo profitto col minimo sforzo; a spingere le brutte copie di qualcuno invece che ricercare la particolarità, per andare sul sicuro. I festival vengono riempiti di act tutti simili, finché dopo un paio d’anni il pubblico non si stufa e il mercato decide di puntare su qualcos’altro. Mi rattrista molto questa dinamica, e spero che in futuro si torni a dare valore alla musica nella sua eterogeneità, scegliendo in base alla qualità e non alla facilità di guadagno.

DORIANA TOZZI

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